#Venti2020: Radiohead – Kid A

L'album dei Radiohead che ha fatto epoca, e i cui echi ancora risuonano a vent'anni di distanza

Kid A
Radiohead - Kid A. Credits: Jessica Ward / Pinterest
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Kid A, l’album dei Radiohead che ha cambiato tutto

Kid A, il quarto album in studio dei Radiohead, arriva (manco a farlo apposta) con l’alba del nuovo millennio. È un periodo nel quale il rock and roll, una volta ancora, si ritrova sempre più spesso ad auto-parodiarsi, con generi come il nu metal e il post-britpop, i cui artisti si rivelano sempre più “schiavi” dell’estetica di MTV e fin troppo impegnati a colpire l’ascoltatore per lavorare davvero ad una ricerca sul suono. D’altra parte, il corrispettivo passaggio generazionale, quello del post-punk revival/garage rock revival (Strokes, Interpol, White Stripes) deve ancora arrivare, e arriverà poco dopo; ma intanto non ci sono molti nomi in giro a tenere alta la bandiera del rock più impegnato e ricercato.

Ci sono, per esempio, i gruppi post-rock e math rock, che però fanno una musica fin troppo complessa e, in quanto tale, riservata più ad un pubblico scelto: l’innovazione rimane quindi circoscritta a pochi conoscitori di suoni raffinati, e solo vent’anni dopo, nel decennio appena trascorso, il post-rock potrà raggiungere un pubblico più ampio. Ci sono altre realtà “alternative”, come quella del tardo noise sperimentale nel quale si sotterrano gli Smashing Pumpkins, proprio dal 2000 in poi, con Machina. Oppure, lo stesso nu metal più rischioso e audace, che prende forma nel capolavoro White Pony dei Deftones, pubblicato sempre nel 2000. Il resto è però pressoché immobile, e la scena rock pare destinata, come a fine anni ‘80, ad un rapprendersi di tendenze auto-referenziali e stantie.

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Ecco dove intervengono i Radiohead. Il gruppo di Thom Yorke e Jonny Greenwood si è già fatto ben notare, nel corso degli anni ‘90, per via del proprio atteggiamento scostante nei confronti tanto della scena britpop inglese, quanto di quella grunge. Superati i fasti posticci di Creep, il loro primo successo, i Radiohead si inoltrano presto in territori ben più oscuri, dapprima con The Bends (1995), e poi fino al punto di non ritorno, OK Computer (1997).

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È proprio quest’ultimo album a segnare il destino “alternativo” della band: i Radiohead dichiarano senza compromessi di volersi dedicare alla musica come arte, non come intrattenimento. Il loro è un rock psicologico, profondo, complesso, aperto ad influenze atipiche e attento a sfidare l’ascoltatore e le convenzioni alle quali egli è abituato. Se, tuttavia, in OK Computer questa presa di posizione si riassume più che altro nella ricerca di un rock particolarmente strutturato, dai motivi desueti e dagli arrangiamenti avventati, con Kid A si passa ad una musica del tutto diversa. Fa infatti il suo prepotente ingresso, nella musica dei Radiohead, l’elettronica.

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Ora, c’è da dire che mentre oggi, nel 2020, siamo ormai abituati all’idea di un gruppo rock che ricorre a sonorità tecnologiche e futuristiche per arricchire il proprio sound, all’epoca un tale espediente non era per niente cosa scontata. Certo, tentativi erano stati fatti, in precedenza, da ambo le parti: dai Depeche Mode, per esempio, oppure dai Prodigy; e certo, notevolmente, dai Nine Inch Nails. Tuttavia, il tipo di rock elettronico ideato dai Radiohead è qualcosa di mai sentito prima, nella misura in cui si indirizza alla costruzione di un’atmosfera cupa ed introspettiva tanto particolare da influenzare, poi, le produzioni di tutti i vent’anni successivi.

Infatti, ancora oggi gli echi di Kid A si colgono nella musica di gruppi come gli Alt-J, gli Arcade Fire, i TV on the Radio. Canzoni ormai leggendarie puntellano la tracklist di questo capolavoro: Everything in Its Right Place, The National Anthem, Optimistic e soprattutto Idioteque. Numeri devianti, provocatori, a loro modo ribelli, che spingono Yorke e colleghi ancora più lontano dal mainstream, se possibile; eppure, e questo è un po’ il punto, tali musiche riescono anche ad attrarre un uditorio molto ampio ed eterogeneo di musicofili in cerca di suoni importanti, efficaci, studiati, ma allo stesso tempo non fini a sé stessi o rivolti specificamente ad una élite.

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L’intuizione dei Radiohead è allora proprio quella di una musica che, pur rivelandosi astratta, peculiare e in qualche modo “sinistra”, possa comunque coinvolgere l’ascoltatore attento e desideroso di avventurarsi in nuove scoperte, senza però richiedergli di lasciare tutto dietro di sé, o di cambiare completamente idea sulla musica. L’innovazione del gruppo, anche se totale e, dopo Kid A, definitiva, è tuttavia graduale, morbida. Si insinua negli arrangiamenti, come nelle composizioni, in una maniera sottile tipica di questi musicisti inglesi, sfidando regole e prassi non a viso aperto, ma aggirandole e destabilizzandole con la perizia e la maestria di chi (i Radiohead) ha capito che la storia della musica si cambia così, raccogliendo un seguito e trascinandolo con sé verso nuove scoperte.

Ecco perché Kid A è un fulmine a ciel sereno per l’industria discografica all’alba del nuovo millennio: al di là delle nuove influenze elettroniche, il disco mostra che una musica diversa è possibile, e che non deve necessariamente essere intollerante o immensamente rivoluzionaria. Al contrario, la “rabbia” del grunge e del rock alternativo anni ‘90 viene qui sostituita da una ricerca introspettiva avveniristica per il 2000, che è più tipica dei nostri tempi: e che in quanto tale, per l’epoca, suggerisce una concezione del rock del tutto nuova.

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Radiohead – Kid A / Anno di pubblicazione: 2000 / Genere: Electronic Rock

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