Il filo nascosto: la drammaturgia musicale della perfezione

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Paul Thomas Anderson è uno dei più grandi registi della sua generazione.

Nelle sue otto pellicole ha tracciato un preciso percorso stilistico che ha raggiunto ormai da anni la piena maturità. L’appropriazione maniacale dei mezzi tecnici e una precisa idea estetica e narrativa lo hanno reso uno dei migliori autori della postmodernità. E Il filo nascosto, ad oggi il suo capolavoro, è una delle pagine di cinema più importanti del nuovo secolo. Il motivo di tale importanza è la simbiosi profonda e formale tra tutti gli elementi che si assommano in un film, che nel caso de Il filo nascosto generano un’esperienza artistica totalizzata e praticamente perfetta.

Chiaramente i due veicoli attraverso cui questa complicata e turbinosa creazione si articola sono le immagini e i suoni. Una lezione di kubrickiana memoria, quella di fondere a livelli inconsci le due dimensioni principali. Quella spaziale, in cui convergono le forme e i colori della composizione delle immagini e i movimenti, interni alle immagini e della macchina; quella temporale, data dalla musica in sè, arte temporale per eccellenza, dal montaggio e dai criteri di successione e affinità tra queste strutture. Tutti i film hanno delle colonne sonore, molte delle quali sono bellissime pagine musicali, molto adatte ai vettori emotivi della pellicola. Il filo nascosto ha però quella sottile raffinatezza, quelle affusolate ed eteree corrispondenze, quel labor limae che distingue un grande capolavoro dagli altri film. Al pari di 2001-A Space Odissey di Kubrick, Trois Couleurs-Bleu di Kieslowski o Melancholia di Lars Von Trier, per Il filo nascosto si può ragionare in termini di drammaturgia musicale.

Una drammaturgia firmata dalla penna di Jonny Greenwood.

Il filo nascosto rappresenta infatti la quarta collaborazione tra il chitarrista dei Radiohead e Anderson. Dopo Il petroliere, The Master e Vizio di Forma, Greenwood dà vita ad una partitura particolarmente ispirata e riuscita. Modellata su alcuni stilemi della musica classica e guidata dalle atmosfere eleganti del film e dalla laboriosità sartoriale, Greenwood ha composto delle musiche che vestono a pennello su Il filo nascosto. Ha dichiarato di aver ascoltato molto le registrazioni bachiane di Glenn Gould e un certo tipo di jazz orchestrale molto in voga negli anni ’50. Da ciò deriva l’abbondanza di tastiere e il ricco utilizzo di archi del vestito musicale di Greenwood.

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La tessitura densa ed elaborata non surclassa mai le perlee armonie di Greenwood, come nel brano che accompagna la sequenza iniziale, capolavoro esemplificativo di tutta la maestria di Paul Thomas Anderson.

Ci sono due segmenti in questa ouverture, che presentano i due protagonisti. La continuità tra le immagini è realizzata proprio dalla musica, che collega due sintagmi distinti dal punto di vista narrativo, temporale e scenico. E come l’oscurità si dischiude alla luce degli ambienti di Casa Woodcock, così la musica si fa più chiara e ordinata rispetto all’improvvisazione che accompagna le parole di Alma. Il brano che ci accompagna nell’esplorazione di House of Woodcock si articola con evidenza in due momenti distinti. Il primo è una frase pianistica in do maggiore, molto semplice e lineare:

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Mentre il secondo, armonicamente più vario, si muove dal tono di la minore, parallelo di do, su un disegno accordale di “tre contro due”:

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Le forme musicali e le loro articolazioni suggeriscono delle affinità con le scelte cinematografiche.

Ad iniziare dal montaggio, la dimensione filmica sicuramente più simile ad una partitura. La prima frase musicale (00:39-00:48) accompagna una singola inquadratura, e il primo taglio corrisponde proprio alla cesura tra la prima frase e la sua ripetizione (00.48-00:58), che invece accompagna quattro diversi particolari di Reynolds. Interessante è osservare come la durata di questi quattro dettagli segua una scansione metrica precisa che, secondo le proporzioni date dalla musica su cui si installa, è 2:4:1:1: questo è, per l’appunto, ciò che Ėjzenštejn avrebbe definito montaggio metrico. Segue poi la seconda frase, quella in la minore, che accompagna due inquadrature che la sezionano a metà. A questo primo periodo musicale segue la sua ripetizione: alla cesura tra i due corrisponde il taglio con l’inquadratura successiva, che ci porta all’esterno del palazzo.

Qui la macchina compie il suo primo movimento. Una panoramica verticale verso il basso ci fa vedere il palazzo nella sua interezza. Mentre le relazioni temporali tra il montaggio e le forme musicali continuano a svilupparsi, nascono anche delle relazioni spaziali. Nella prima frase musicale c’è un moto contrario tra la mano destra e la sinistra. Mentre la prima suona una scala per terze discendente, la seconda sale per grado congiunto. Due direzioni ben chiare all’orecchio, e anche all’occhio. Questo segmento (i cui tagli richiamano la proporzione 2:4:1:1) finisce infatti a 1:57 con una panoramica verso l’alto, che si va ad opporre alla carrellata discendente che ha aperto questo nuovo episodio. E il contrasto è evidente nel chiasmo motorio dell’inquadratura successiva, in cui Cyril scende le scale mentre le sarte salgono.

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La simbiosi delle forme artistiche viaggia su due binari.

Il primo è quello della successione e della ripetizione, in cui è possibile riscontrare la perfetta adesione delle forme musicali e dei tempi del montaggio, delle cesure fraseologiche e dei tagli. Il secondo invece è fatto dal contrasto e dall’analogia tra suggestioni simili di forze espressive di diversa natura. Caratteri insiti nelle forme stesse della partitura. Il main title Phantom Thread, ad esempio, è un vero e proprio leitmotiv del film. Si presenta in quattro variazioni tutte basate sullo stesso inciso fondamentale:

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Estendere questo tipo di analisi a tutta la pellicola permetterebbe di scoprire tutte le limpide ed elusive relazioni tra i vari canali artistici. Permetterebbe di riscoprire Il filo nascosto davvero per il capolavoro che è, e di comprenderne le ragioni, perché dietro questa pellicola meravigliosa, c’è una colonna sonora altrettanto memorabile. Costruita con grande capacità compositiva e una certa economia di sintagmi musicali, ma manipolati variamente e coerentemente, la musica di Greenwood è l’abito perfetto per il capolavoro di Paul Thomas Anderson.

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