I 5 film di Dario Argento che non potete non aver visto

Dario Argento ha diretto e sceneggiato più di venti film nella sua carriera. Ma quali sono i film che tutti devono aver visto almeno una volta?

dario argento
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Se si dice horror all’italiana, non si può far altro che pensare a Dario Argento.

Ha dedicato la vita a questo genere, definendone i tratti e riscrivendo la storia del cinema, diventando a tutti gli effetti maestro del brivido, in Italia ed all’estero.

La sua carriera vanta 18 film, quasi tutti horror, con una eccezione storica fatta da Le cinque giornate, in cui si mostra l’insorgenza inglese contro gli austriaci.

Ma quali tra questi sono quelli che tutti, anche i non amanti dell’horror, dovrebbero vedere almeno una volta nella loro vita?

In attesa della sua nuova serie televisiva eccoli in ordine cronologico.

1) L’uccello dalle piume di cristallo – 1970

luccello dalle piume

Terzo ed ultimo capitolo della soprannominata Trilogia degli Animali rappresenta anche il terzo film della cinematografia di Argento.

Con questo film, il regista, entra di diritto nella classifica dei migliori registi italiani: scrive un giallo dai tratti autobiografici, quasi psicologico, che va ad analizzare paure e nevrosi del protagonista.

Le nevrosi del protagonista, Roberto Tobias, nascono quando uccide accidentalmente il suo persecutore che lo inseguiva ormai da giorni. Da qui nascono ricatti, nevrosi isteriche, incubi ricorrenti e nuovi incidenti, che Argento non si tira indietro dal rappresentare con grande orrore. Il maestro del brivido si fa notare particolarmente nelle scene degli omicidi, e con le tattiche utilizzate per generare suspense.

2) Quattro mosche di velluto grigio – 1971

4 mosche

Capostipite della produzione cinematografica di Dario Argento, il film uscì nelle sale nel 1970.

Interamente scritto da Argento, la pellicola trae spunto dalle vicende narrate nel romanzo La statua che urla di Fredric Brown. Primo di una lunga serie di thriller, il regista con questo film pone le basi per lo sviluppo del “giallo all’italiana”, facendo da modello per molti altri. C’è da ricordare però che ancora prima di lui Mario Bava mise le basi per lo sviluppo del cinema di genere italiano. Il lungometraggio forma insieme a Il gatto a nove code, e Quattro mosche di velluto grigio la cosiddetta Trilogia degli Animali Argentiana. I riferimenti agli animali restano isolati quasi solo ai titoli. Tuttavia è curioso notare come, data la fama ed il successo della trilogia, molte pellicole del tempo furono nominate similmente: Il gatto dagli occhi di giada e Una farfalla con le ali insanguinate sono solo esempi.

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Alla composizione delle musiche troviamo niente meno che Ennio Morricone, ed alla fotografia Vittorio Storaro, professionisti che accompagnarono il regista lungo diverse opere della sua carriera. Grazie ad un uso rivoluzionario della soggettiva, di tecniche di montaggio sconosciute ai più e di suoni mai uditi al cinema, in poche settimane di riprese riuscì a confezionare un prodotto che ancora oggi viene studiato per il suo valore cinematografico.

Guardate la nostra intervista a Dario Argento in occasione del FIPILI Horror Festival:

3) Profondo Rosso – 1975

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Argento mette in piede un capolavoro di inquietudine, grazie alle potenti immagini ed alla splendida quanto angosciante colonna sonora dei Goblin e di Giorgio Gaslini.

Ad una conferenza la sensitiva Helga percepisce che tra il suo pubblico è presente un omicida. A casa poco più tardi viene trucidata e a questo episodio assiste il suo vicino di casa, il pianista Marc Daly. Da qui egli intraprende una tormentata ricerca dell’assassino insieme alla giornalista Gianna Brezzi.

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Il film cambiò per ben tre volte il titolo, da La tigre dai denti a sciabola, che Argento inventò per prendersi gioco dei giornalisti, a Chipsiomega, a Profondo Rosso, scelto per la grande prevalenza del colore delle immagini del film.

Argento trattava la sceneggiatura già dal 1970, ed era un progetto a cui teneva particolarmente, e per la cui buona riuscita si affidò anche da Bernardino Zapponi. Se il pubblico amò e venne incantato dal film fin da subito la critica non fu altrettanto clemente, definendolo formale, noioso e addirittura di poco interesse. Spesso al tempo dei giornali finì vicino a L’esorciccio, parodia de L’esorcista.