Coronavirus: Quale sarà il futuro del Cinema? Rinascita o morte?

L'attuale crisi, sanitaria ed economica, globale rischia di mettere in ginocchio numerose industrie, tra le quali anche quella del cinema. Quale sarà il futuro della settima arte? Sopravviverà anche con le sale chiuse?

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Quale sarà il futuro del cinema?

Nessuno di noi si sarebbe mai aspettato di vivere una situazione tanto drammatica, come surreale, quanto una pandemia globale e la conseguente, e necessaria, quarantena. La diffusione del Covid-19 ha costretto i governi di tutto il mondo a decretare la sospensione di qualsiasi attività ritenuta non essenziale, comprese (a malincuore) le sale cinematografiche. L’emergenza sanitaria mondiale rischia di mettere in ginocchio l’economia, e di mettere in crisi numerose industrie, tra le quali sicuramente quella del cinema. In molti si pongono la domanda su quale sarà il futuro della settima arte, quando ci saremo buttati alla spalle questa vicenda, ma chi scrive è piuttosto fiducioso che il cinema troverà la sua strada per reinventarsi e sopravvivere. Vi spieghiamo perché.

Un’idea ormai diffusa da più di mezzo secolo

Che il cinema fosse in crisi era un’idea diffusa, oggi come ieri, a partire dagli anni ’60 del Novecento, ed è sempre stata smentita dalle capacità dello stesso di adattarsi ai nuovi scenari. Già nel 1982 Wim Wenders aveva realizzato un documentario, Chambre 666, in cui chiedeva ad alcuni colleghi, tra cui Herzog, Godard, Antonioni e Spielberg, di rispondere al quesito “quale sarà il futuro del cinema?”. L’opera di Wenders ci permette di comprendere come già 40 anni fa il cinema veniva considerato in crisi, destinato allora a soccombere sotto il peso dei nuovi media, tra cui la televisione. Tuttavia, nel contesto socio-culturale contemporaneo segnato da una profonda e rapida evoluzione tecnologica, quella percepita è piuttosto una crisi ideologica sullo statuto del cinema. Proprio l’avvento della televisione, e l’inserimento di film all’interno dei palinsesti, ha determinato una nuova percezione della fruibilità del cinema, privando la sala dell’esclusività come luogo di visione.

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Ma quello con la televisione si rivela un rapporto di reciproca influenza, tanto da permettere al cinema di assimilarne strategie narrative e comunicative. Il cinema è ora un medium trasversale, concetto introdotto già da Jenkins, in grado di stabilire relazioni con altri spazi di fruizione attraverso il linguaggio dei nuovi media. In tal modo il cinema è in grado di diffondersi oltre il cinema stesso, garantendo nuove modalità di esperienza, attraverso nuovi schermi e piattaforme; si pensi ai videogames. Secondo Francesco Casetti, in questo modo, il cinema assume una nuova vita; il cinema espande i propri confini appropriandosi di nuovi spazi che gli permettono di vivere oltre la sala. E seppure costretto a cedere a dei compromessi, quello che rimane intatto in questo processo di trasferimento del cinema è il desiderio di cinema, o meglio della visione. Insomma, quello che Rodowick definisce come modalità di desiderio.

Dove va il cinema quando esce dalla sala?

Ora, la diffusione del cinema avviene principalmente su nuove piattaforme che consentono la visione su nuovi e diversi supporti. Nonostante la delocalizzazione della fruizione induca ad una spersonalizzazione del cinema come è inteso, la visione cinematografica non cessa di esistere ma viene riconfigurata come individuale e domestica. Quindi il cinema si ricolloca, adattandosi a nuove forme e modalità di visione mantenendo intatta la propria essenza. Ancora Casetti definisce questo processo come rilocazione, attraverso cui il cinema si propone come esperienza nuova, eppure sempre uguale, su nuovi canali e in nuovi spazi. Ciò garantisce una continuità, in termini di visione, tra la sala e l’ambiente domestico. Chiaramente, Casetti riconosce che il tipo di fruizione di cui si parla è monco di alcune componenti garantite dalla sala, che ne garantiscono la spettacolarizzazione. Tuttavia, lo spettatore contemporaneo è in grado di colmare quelle mancanze ripristinando la qualità cinematografica della visione.

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In tale processo è l’apporto dello spettatore, che riconosce la presenza del cinema in qualunque formato, a ristabilire le condizioni necessarie per ricreare l’ambiente necessario per la fruizione. Lo spettatore inquadra l’esperienza secondo la memoria, la rassomiglianza e l’abitudine, identificando caratteristiche e tratti che conducono al riconoscimento del cinema in quanto tale. Robert C. Allen parla di “un’intera generazione che ha avuto le sue prime, cruciali e più comuni esperienze di cinema in luoghi che Hollywood liquidava come non-cinematografici: in stanze da letto, in salotti, in cucine, in automobili”. Oggi, la stessa industria cinematografica cerca di colmare quello scarto tra sala e casa con strategie narrative che determinato una visione intima e personale. Inoltre, ciò avviene anche attraverso la creazione di un ambiente in grado di simulare la qualità spettacolarizzante della sala, è il caso dell’home theater.

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Il cinema è morto, lunga vita al cinema

Che il cinema sia cambiato, e continui a farlo, è indiscutibile, un cambiamento drastico e radicale, ma che va inteso, secondo Bordwell, all’interno di un continuum in cui il cinema è e sarà sempre cinema. Al di là di tutte le trasformazioni, i cambiamenti e le migrazioni dello spettacolo, il cinema conserva la volontà di rimanere sé stesso, pur adattandosi. Il cinema fuori dalla sala è sicuramente un cinema che diventa altro, ma si fa carico di tutti gli elementi che ne hanno caratterizzato la storia. Un ulteriore aspetto, fondamentale, di cui tener conto è quello che Morin chiama bisogno di cinema, per cui è intramontabile la volontà della settima arte di mostrare, come uno specchio magico, e dello spettatore di vedere. Quindi, quale sarà il futuro del cinema? Il cinema vivrà e la presunta fine, che gli si continua ad attribuire, è una fine che non finisce mai di finire, come ha scritto Bellour.

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