Narcos: Messico prosegue il racconto dei signori della droga
Negli ultimi anni film e serie tv sul narcotraffico si sono moltiplicate come mai prima, ed il merito di questo inaspettato revival è sicuramente di Narcos, vero e proprio instant classic della cultura pop contemporanea. E in quanto tale è già sedimentato nell’immaginario collettivo, spasmodicamente curioso verso le prime uscite, decisamente più indifferente verso l’ultima stagione di Narcos: Messico pubblicata lo scorso 13 febbraio. Un’accoglienza tiepida verso quello che nelle prime battute era un vero e proprio fenomeno di massa, ma che sicuramente continua a meritare la visione e a confermarsi uno dei prodotti di punta di Netflix.
Così la seconda serie di episodi di Narcos: Messico è costretta a confrontarsi con due problemi. Sicuramente dietro la disaffezione del pubblico c’è lo spettro della ridondanza. Nonostante il continuum narrativo della serie, la ripetizione pedissequa di certi schemi visivi e narrativi costringe a chiedersi cosa ancora abbia da dire un’opera del genere. Inoltre questa seconda stagione deve misurarsi con il livello straordinario della prima stagione, e se riguardo al primo punto qualsiasi spettatore attento potrà apprezzare le variazioni degli autori nell’approccio al soggetto, su quest’ultimo la seconda stagione probabilmente esce sconfitta.
Allo stesso tempo sembrano certe volte riecheggiare spunti dalle grandi regie scorsesiane di Casino e Goodfellas. Il brulicare di comprimari e trame secondarie spezza la narrazione della grande mafia messicana in un quadro complesso e vitalistico. Esperimento però riuscito a metà ; coraggioso e ambizioso ma eccessivamente confusionario e spesso inutilmente prolisso su alcuni personaggi che non si rivelano poi realmente caratterizzati.
Il magnetico antagonista della prima stagione, il re del narcotraffico messicano, vivrà un declino inarrestabile. L’assassinio dell’agente Camarena ha portato ad un dispiegamento di forze di polizia pronte ad usare qualsiasi metodo, ed iniziano ad emergere con prepotenza gli eredi al trono, tra cui un certo JoaquÃn “El Chapo” Guzmán. Senza rinunciare al fascino gelido della sua mimica facciale, Diego Luna restituisce il lato umano del criminale con i giorni contati. L’assenza di un reale confronto con la sua controparte ne svilisce però la caratterizzazione. La sua nemesi d’elezione, Michael Peña, è sostituita da un ottimo Scoot NcNairy, voce narrante della serie, che tuttavia non porta in scena lo stesso scontro serrato della prima stagione.
La battaglia infatti non è più tra i due soli fronti del bene e del male. Si miscelano vorticosamente tante altre forze fino a dissipare quella blurred line tra il fine e i mezzi. Così come mai prima in Narcos la sfera politica è stata approfondita nei suoi corrotti rapporti con i trafficanti. Un elemento, certo, sempre presente sullo sfondo dell’ascesa e declino dei sovrani della droga, ma che negli splendidi episodi 8 e 9 assurge a protagonista assoluto delle vicende. Sicuramente vetta della stagione e tra le puntate più belle dell’intera serie, caratterizzate da un uso mirabile del montaggio parallelo e dell’antifrasi tra musica e immagini.