Crazy Heart: la Redenzione di una stella al tramonto [ANALISI]

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Crazy Heart è un film del 2009 diretto da Scott Cooper, regista all’epoca alla sua opera prima ma che avrebbe nel tempo confezionato opere di tutto rispetto come Black Mass o Hostiles. La pellicola ottenne un gran successo, portandosi a casa addirittura due premi Oscar di cui uno, il primo e unico della sua carriera, per Jeff Bridges, meraviglioso protagonista della storia. La trama infatti ruota attorno a Bad Blake, anziano cantante country ormai nella fase calante della sua carriera, perennemente ubriaco e scontento che tira avanti con qualche concertino di nicchia in varie zone rurali e sperdute del sud degli Stati Uniti.

La sua routine autodistruttiva lo porta infine a conoscere Jean, una giovane giornalista, interpretata da Maggie Gyllenhaal, della quale si innamora perdutamente e per la quale tenterà di mettere la testa a posto rinunciando all’alcol e tornando a una vita sana. Sebbene quest’ultimo elemento alla fine della storia si rivelerà realtà, la loro storia risulterà impossibile e Bad si troverà ad essere solo ma salvato in ogni caso dall’amore.

Crazy Heart ha il grande merito di riuscire a portare il pubblico, anche quello più lontano sia geograficamente che culturalmente, nel mondo della musica country. Ci vengono infatti mostrati diversi concerti di Bad che si appiglia alla sua gloria passata per riuscire a tirare fuori performance che soddisfino il pubblico, cantando spesso i suoi cavalli di battaglia che più volte ascoltiamo nell’arco del film, ma che evidentemente non sono all’altezza di quelle viste in passato. La mediocrità e la limitatezza delle location scelte ci fa capire perfettamente che si tratta di concerti minori e poco pagati. Tuttavia ovunque va il nostro cantante cowboy trova fan di vecchia data che sanno a memoria le sue canzoni e donne che vogliono passare la notte con lui. La costruzione di questa dicotomia è assolutamente perfetta per creare il giusto contesto nel quale Bad si muove.

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Tant’è vero che gli ci vuole veramente poco per tornare sulla cresta dell’onda. Gli bastano due telefonate per tornare a esibirsi in un grande concerto, appoggiandosi alla tournèè dell’odiatissimo Tommy Sweet, interpretato da un ottimo Colin Farrell. Dunque Bad ci viene mostrato esattamente per quello che è. Un vecchio uomo che si sta volontariamente autodistruggendo perchè non trova più nulla per cui vivere. Fino a quando non incontra Jean, per lo meno. Anche in questo caso, Scott Cooper è diligente e si prende i suoi tempi per mostrarci una storia d’amore complessa che soffre delle ricadute nell’alcol di Bad e che chiunque guardi sa che potrà finire in un solo modo. Male.

L’atmosfera agrodolce che si respira infatti ad ogni scena che vede i due amanti insieme è resa così palpabile dalla strepitosa prova attoriale di Bridges e della Gyllenhaal e dalla fotografia e dalla messa in scena sempre abbastanza tristi che nessuno spettatore crederà davvero che la loro storia durerà fino alla fine del film, ma ci spera comunque. Esattamente come Bad. In tutta la pellicola proveremo a empatizzare e a fare il tifo per lui. Ci illuderemo insieme a lui che la sua vita abbia trovato la giusta via e ci dispiaceremo infinitamente quando l’alcol tornerà a fare da padrone facendogli perdere ciò che ama. Tuttavia anche nella perdita Bad verrà salvato dall’amore. E questo è sicuramente il messaggio più bello e originale dell’intero film.

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La narrazione di Cooper soffre tuttavia di un paio di scivoloni che non permettono a pieno di comprendere Bad. Se infatti il suo amore con Jean e la sua condizione umana come persona e cantante sono sviscerate perfettamente, ci sono degli elementi poco approfonditi che non soddisfano chi guarda. Perchè Bad ha abbandonato suo figlio? Come contininuerà il loro rapporto dopo la telefonata che vediamo nel film? Perchè odia così tanto Tommy Sweet che ci viene presentato come una sorta di suo ammiratore sfegatato? Si intuisce che gli ha fatto un torto notevole, ma non ne sapremo mai più di così.

Tuttavia non si può che chiudere questa analisi parlando del vero motivo per il quale dovete correre a vedere Crazy Heart: Jeff Bridges. La sua performance può essere definita con una sola parola: perfezione. Non solo perchè è lui stesso a cantare e suonare, in modo eccelso, tutte le canzoni che Bad esegue durante il film e non solo perchè porta in scena tutto il carisma e lo charme che si addice ad una vecchia star della musica. Ma principalmente per tutti i micro-elementi che circondano la sua performance.

Dal fiatone perenne, causato da alcol e sigarette, che circonda la sua voce costantemente, passando per le espressioni facciali che perfettamente si addicono ad ogni momento fino ad arrivare alla chimica sensazionale che trova insieme a Maggie Gyllenhaal, anche lei assolutamente strepitosa, e sulla quale l’intero film ruota. Una di quelle prove che incoronano una carriera già di per sè meravigliosa e che vi rimarranno per sempre nel cuore.

Davvero un piacere per gli occhi e per il cuore. Fidatevi.