Metallica – The Metallica Blacklist | RECENSIONE

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Il super-cover album a tema Metallica è qui: ecco The Metallica Blacklist

Ecco che cosa è successo: per il trentesimo anniversario dell’uscita dello storico Black Album, i Metallica hanno deciso di far interpretare le canzoni della tracklist a un enorme numero di artisti. E che artisti: tra poco faremo qualche nome. Iniziamo col dire che l’operazione ha coinvolto fino a 53 nomi diversi, ognuno dedicatosi con il proprio approccio ad una diversa canzone.

Il risultato? Dipende. C’è tanto da dire. Prima di tutto, va chiaramente premiata “l’apertura mentale” che ha consentito al quartetto di accogliere nel progetto nomi diversissimi e anche parecchio lontani dal loro genere. Nello stesso disco troviamo infatti i Ghost e St. Vincent, Mac DeMarco e Moses Sumney, Phoebe Bridgers e Dave Gahan, gli IDLES e Kamasi Washington.

E poi: Sam Fender, Alessia Cara, i My Morning Jacket, i Portugal. The Man, J Balvin, Corey Taylor, i Weezer, Rina Sawayama… potremmo andare avanti per un bel po’. Per esempio, potremmo citare la più improbabile combo concepibile: Miley Cyrus, Elton John, Yo-Yo Ma, Robert Trujillo e Chad Smith tutti insieme per una cover di Nothing Else Matters. Eh già.

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Se da una parte quindi l’idea di coinvolgere così tanti artisti e così diversi nel medesimo contenitore è certamente da apprezzare, va detto che forse alla fine non ne emerge tutto i potenziale. Ossia: ogni artista interpreta ciascuna delle canzoni della tracklist del Black Album a modo suo; ma questo purtroppo non impedisce che diverse versioni si assomiglino l’un l’altra, per non dire tutte.

Per quanto infatti molti dei nomi intervenuti provengano dall’area “non-metal”, è davvero difficile rendere queste canzoni con arrangiamenti tanto diversi da quelli originali. Semplicemente, si snaturano, perdendo gran parte dell’impatto e dell’originalità che le rese, tutte, tanto apprezzate nel 1991. E facendo il contrario… prendiamo le differenti versioni di Sad But True, per esempio: sono quasi tutte uguali.

Gli approcci davvero originali e “coraggiosi” sono pochi, e col senno di poi sarebbe stato forse preferibile scegliere artisti più “limitrofi” al genere di partenza, con un “cast” magari anche meno nutrito, ricavandone meno versioni ma più fedeli allo spirito del disco originale. In sostanza: un lavoro interessante ma caotico, non terribile ma d’altra parte neppure davvero necessario.

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