Mi chiamo Francesco Totti, Recensione del film sul Re di Roma | RFF15

Alla Festa del Cinema di Roma arriva Mi Chiamo Francesco Totti, il documentario dedicato all'ex Capitano dell'A.S. Roma. Ecco la nostra recensione,

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Francesco Totti in una delle scene più commoventi del documentario presentato alla Festa del Cinema di Roma
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È il 28 Maggio 2017 e lo stadio Olimpico di Roma è gremito di persone con un solo nome sulle labbra: Francesco Totti, capitano dell’A.S. Roma, a un passo dall’addio ufficiale alla carriera.

Mi chiamo Francesco Totti, il documentario di Alex Infascelli presentato alla Festa del Cinema di Roma, parte proprio da qui, dal momento dell’addio e delle lacrime.

Ma poi il tempo si accartoccia su se stesso, gira come un nastro su cui sia stato premuto rewind e torna all’inizio, ai primi calci dati a un pallone in spiaggia. Mi chiamo Francesco Totti dice l’ex calciatore romano, prima di cominciare a raccontarsi.

Mi chiamo Francesco Totti, epopea romantica di un eroe moderno

C’era il timore che il documentario di Alex Infascelli diventasse una sorta di celebrazione autoctona, una lettera d’amore che avesse come destinatario solo quel popolo giallorosso che ha portato Totti in spalla come l’ottavo Re di Roma.

Il pericolo, tuttavia, viene sviato e lo si capisce a una manciata di secondi dall’inizio del film, quando la voce di Francesco Totti riempie lo schermo, con quella sua innata simpatia e quella romanità che ha cooperato a renderlo un personaggio iconico.

Mi chiamo Francesco Totti non è la lettera d’amore che un tifoso ha scritto per la sua bandiera e il suo capitano: è il racconto personale di un uomo che riguarda se stesso bambino e ritrova la gioia dei sogni avverati e dei treni presi.

Francesco Totti si trasforma allora in una sorta di eroe romantico e malinconico: un atleta che si guarda allo specchio e si trova venticinque anni in più tra le rughe di espressione.

La scelta di lasciare a Totti il compito di raccontare se stesso e la sua carriera ha dato a Mi Chiamo Francesco Totti una nota più intima, ma anche più spontanea.

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Il documentario miscela filmati privati con quelli che sono andati ad arricchire gli archivi della storia del calcio: e non c’è momento in cui al centro del racconto non ci sia l’autenticità di Totti.

Questo fa sì, naturalmente, che lo spettatore partecipi con ancora più empatia al racconto portato sul grande schermo, a questa epopea di successo e amore che ha portato Totti a diventare, come lui stesso ha detto, un nuovo monumento di Roma.

Un monumento per il modo in cui la gente gli si è sempre accalcata contro, per l’impossibilità a uscire a fare due passi senza essere fermato per un abbraccio, una foto, un ringraziamento.

Ed ecco dove risiede la magia di Francesco Totti: nel suo essere diventato la ramificazione di una città, il centro nevralgico di una piazza sportiva che, pur coi suoi noti difetti, non ha mai smesso di credere nell’impossibile.

“E se nasce una bambina, poi, la chiameremo Roma”

Un altro punto di forza di Mi Chiamo Francesco Totti è la sua universalità, la sua capacità di trascendere il tifo romanista e di aprirsi ad un pubblico più vasto. Non solo di altre fedi calcistiche, ma anche a chi il calcio lo ha sempre mal sopportato.

Perché mentre racconta dei suoi anni sul campo di gioco, dell’infortunio che quasi gli causò l’esclusione dai mondiali del ’96, di allenatori che lo hanno formato e di altri che lo hanno deluso, Mi Chiamo Francesco Totti parla soprattutto di famiglia e amicizia.

Parla dei punti fermi di cui ogni essere umano ha bisogno per affrontare la vita, del destino che si compie quando sei troppo distratto per accorgertene e di un impulso a superare se stessi.

È la storia di un uomo che si trova diviso in due: da una parte Francesco, con il suo sogno di avere una famiglia, e dall’altra Totti, l’uomo che scende in campo e che in due minuti riesce a ribaltare una partita, come dimostrato nella seconda era di Luciano Spalletti.

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“Manda un po’ un attimo indietro…”

Alex Infascelli riesce a raccontare tutto questo senza scadere mai nella banalità del ritratto agonistico né nel facile ricatto emotivo: eppure in Mi Chiamo Francesco Totti si piange e molto e molto spesso.

Una sensibilità che viene fuori non attraverso grandi discorsi o costruzioni retoriche, ma con la capacità del regista di stagliare il volto del suo protagonista senza bisogno di chiacchiere inutili.

Il primo piano diventa allora la firma di Infascelli, che insiste sulle rughe e sulla capacità di un volto di parlare attraverso lo sguardo, la posa delle spalle, le mani a coprire l’espressione del viso.

Muovendosi tra le strade di una Roma ora spettrale e ora pullulante di cori e persone, Infascelli racconta una romanità verace, costruendola a partire dal Principe, Giuseppe Giannini, contrapponendolo ad Antonio Cassano.

Due personaggi fondamentali nella vita di Francesco Totti, la cui presenza nel documentario servono a ricamare con più precisione il ritratto del protagonista della narrazione.

E Francesco Totti è sempre lì, con la sua voce e le sue aspirazioni, con le lacrime che hanno commosso l’Olimpico nel momento dell’addio e quel bisogno di andare avanti, rimanendo però ancorati al passato. È lo stesso Totti a chiederlo quando, durante il film, chiede: manda un po’ un attimo indietro.

In questo modo il regista con Mi Chiamo Francesco Totti riesce a costruire un racconto che non concede nulla sul fronte del ritmo e che appassiona, a prescindere dal proprio amore per il calcio.

Mi Chiamo Francesco Totti, il trailer

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