Su Tolo Tolo nessuno ci ha capito un ca**o, strano…

Da quando il videoclip di lancio ha invaso le televisioni nostrane, Tolo Tolo ha monopolizzato l'attenzione del pubblico italiano. Purtroppo, dalla politica alla casalinga di Voghera, nessuno c'ha capito un ca**o

Tolo Tolo
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La prima e, volendo, unica notizia che conti veramente qualcosa, è che Tolo Tolo è un successo. Per un film che si presenta come aggressiva e tracotante scommessa di un regista-attore-autore onnipotente ad un sistema produttivo intero, è il punto che chiude ogni discussione in merito.

20 milioni di budget raccolti (una cosa che per un film in lingua italiana non si vedeva da Bàaria); il “grande tema” di questi anni, per la prima volta al centro di un film popolare; la rinuncia a Gennaro Nunziante e il conseguente debutto da regista unico. Con oltre trenta milioni di incasso nei primi sei giorni di programmazione, il film è già il campione del 2019 come probabilmente del 2020. Il Re Leone, Joker, Endgame… briciole, in confronto al comico pugliese. Come lo erano i rivali di turno, quattro anni fa, di fronte ai 65 milioni di Quo Vado.

Rispetto all’irripetibile successo del 2016, punto di arrivo insuperabile di un percorso in costante ascesa, il nuovo film sta lasciando per strada un paio di milioni; ma se anche dovesse assestarsi tra i 55 e i 60, si parla comunque di cifre impensabili. Letteralmente tutti i film Marvel usciti nell’anno solare 2019 messi insieme (Avengers, Captain Marvel, Far From Home), non eguaglieranno il risultato finale del film.

A quattro anni da Quo Vado, il successo e il peso di Luca Medici non ha fatto che aumentare: Tolo Tolo è già il campione della stagione

Eppure, qualcosa è cambiato. Rispetto a un decennio da media darling, in cui la vulgata popolare lo aveva eletto a sorta di Sacha Baron Cohen nostrano sulla base del niente, il mondo culturale italiano si è improvvisamente trovato a mettere in discussione il peso etico-morale di Checco Zalone. Intendiamoci: che nel 2020, dopo circa quarant’anni di menefreghismo, i critici abbiano riscoperto la dimensione politica implicita nei prodotti d’intrattenimento commerciale, è un segnale in realtà incoraggiante; per la prima volta si è tornati a farsi domande, a non dare per scontata l’assenza di responsabilità di chi mette in scena nei confronti del contesto sociale di riferimento. Dopo dieci anni di beneficio del dubbio, l’Italia ha dunque chiesto a Zalone di schierarsi, di tirar fuori la bandiera e la tesserina di partito. In maniera scomposta, ridicola e pretestuosa. E, ovviamente, sbagliando tutto.

Checco Zalone come maschera definitiva del decennio 2010

Il successo e il senso stesso di Checco Zalone hanno le loro radici nella sua accessibilità multitasking, non certo nelle posizioni che (non) prende su qualsivoglia argomento. In fondo, il comico pugliese è molto più figlio di un Pieraccioni a caso che non di Monicelli, e domandarsi “cosa avrà voluto dire” con Tolo Tolo non ha più senso che chiedersi come si ponesse Il Ciclone riguardo i rapporti internazionali con la Spagna.

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A guardarsi indietro, nel lungo percorso che da Zelig lo ha portato a questa sorta di I Cancelli del Cielo della commedia italiana, Zalone ha da sempre lavorato attorno alla maschera per antonomasia della comicità pre-post-para-populista; quella del candide voltairiano, disprezzabile nella sua beata ignoranza quanto di buon cuore in virtù della stessa, in giro per il mondo a contrapporsi in quanto uomo del popolo all’ipocrisia intellettualoide dei “potenti”. Un personaggio interpretabile rigorosamente in due sensi: denuncia delle meschinità dell’italiano medio, o Joker rivelatore delle storture del mondo?

L’eterna questione dello “sguardo”, fondamentale in un autore di commedie: Luca Medici disprezza Checco Zalone, o è convinto che la sua santa ingenuità contadina ci salverà? Probabilmente, non si pone lui per primo il problema: pertanto, Checco rimane una maschera tutti i gusti più uno, rigirabile all’infinito, e in conclusione innocua. E’ il trucco che porta ai suoi film gli elogi di Sallusti e i cameo di Nichi Vendola, La7 e Libero entrambi convinti che il film “stia con loro”, salvo poi trovarsi basiti ad ogni battutina che sembri dimostrare il contrario.

Un po’ razzista un po’ polemico, un po’ indignato un po’ conciliatorio, Luca Medici è il comico per ogni tipo di pubblico

Sarebbe però ingiusto liquidare la maschera di Luca Medici come un jolly commerciale senza peso. Nel corso degli anni, ancor più palese con gli ultimi due film, una sorta di senso di responsabilità è effettivamente emerso nell’attore; lui che si era sempre ben guardato dal mettere in crisi, giudicare o (sia mai!) condannare il personaggio-Checco, con Quo Vado sembrava aver messo da parte la farsetta popolare per una rozza ma sincera forma di satira costruttiva e progressista; e la scelta di muoversi ora sul territorio minato dell’immigrazione indica come la consapevolezza di una problematicità di base quanto meno ci sia.

Detto questo, fanno tenerezza quelli che, prima da sinistra (le battute razziste!), poi da destra (la retorica buonista!) hanno voluto trovare in Tolo Tolo un punto di vista collocabile. Tra un Pinocchio e una serie sul Papa , l’intrattenimento italiano è così disancorato da qualsiasi attinenza alla realtà dell’oggi, che di fronte al primo africano a comparire sullo schermo non sa più neanche come porsi a livello etico.

L’immigrazione che non c’è, la satira che non esiste

I tre milioni di spettatori che il film sono corsi a vederlo, si saranno senz’altro resi conto dell’imbarazzante errore di valutazione del mondo politico nei confronti del film. In Tolo Tolo, l’Immigrazione come tema, semplicemente, non c’è. Non c’è il contesto, il dramma, le ragioni né alcun tipo di valutazione in merito.

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Non è che Checco sia timido, meno che mai stupido: è che non gli importa. Il suo film sull’Africa è quindi un solido novanta minuti di varietà sul tema del bianco europeo viziato a disagio nelle privazioni del Sahara; vuole l’Imodium e non glielo danno, invoca la pastasciutta nelle traversate desertiche, ha paura di sporcarsi i pantaloni durante un bombardamento… Una versione diluita di quella sequenza di Natale Sul Nilo in cui i due ineffabili protagonisti finivano dispersi nel deserto alla mercé dei predoni. Zalone replica il concetto, elimina coprofagia e sodomia (per fare sessanta milioni non ci si può permettere di far arrabbiare le nonne, arte nella quale Parenti & Co erano maestri), gioca di sponda con Virzì in sceneggiatura e va in gol a porta vuota.

Dietro il marketing del film politico e controverso, Tolo Tolo è una classica, facile commedia sull’italiano all’estero

Nel complesso, Tolo Tolo ha seguito la prudente linea del Checco woke lanciata dal (migliore) Quo Vado: “sbeffeggiare vizi e virtù degli italiani”, come si diceva in termini dispregiativi di Sordi e che oggi è diventato un complimento, stando ben attenti a fuggire ogni considerazione sulle storture sociali che questi benedetti vizi li generano e alimentano. Significativa la maniera in cui, ogni tanto, timidamente, prova ad inserire nelle sue macchiette qualche battuta sull’eredità fascista e il retaggio colonialista dell’italiano mediocre nei confronti del continente africano; salvo lanciare il sasso e nascondere la mano, lasciando lì la provocazione a livello di boutade e tornando a storpiare le parole in barese.

E il razzismo di Checco? E l’anti-razzismo di Checco? Medici, ancora una volta, fa ironia solamente su se stesso (il suo limite quanto la sua arma segreta), e non prende posizione su nulla. Più idiota che lamentarsi del videoclip di lancio, solo quelli che avevano preventivamente elogiato il film come satira di destra, finendo ovviamente spiazzati dal tono inclusivo e parrocchiale del finale animato. Zalone è chiaramente dalla parte dei migranti e delle Ong (ma non lo dice mai), odia i razzisti (ma sa che il suo pubblico è anche quello), di fronte alla Storia fa l’unica cosa che può e che vuole fare: una nuova canzoncina.

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