L’empatico Lonerism rappresenta l’inizio del cambiamento di Kevin Parker e del progetto Tame Impala
Emersi dalla scena locale di Perth con l’interessante debutto “Innerspeaker”, che riprendeva sonorità tipiche della psichedelia anni ‘60 e ‘70 aggiungendoci vari strati di sintetizzatori, i Tame Impala spostano la propria sede in Francia, inseguendo il successo internazionale. Qui Parker ha una breve ma importante relazione con Melody Prochet, che sarà determinante per i testi dell’album. Nel 2012 esce dunque “Lonerism”: il secondo lavoro in studio del progetto solista dell’australiano Kevin Parker, interamente auto-prodotto (anche se con qualche aiuto nel missaggio da parte del precedente collaboratore Dave Fridmann) sempre sotto la Modular Recordings.
“I’ll just close my eyes and make so that all the things don’t affect me now / I know that I gotta be above it now”
Il disco si apre con un vero e proprio preludio in due atti che va dalla loopata, quasi dance, Be Above It, al delirante e sporchissimo assolo di chitarra di Endors Toi (da tradursi con “Addormèntati“). Si sfocia poi nella “pecora nera” del disco, Apocalypse Dreams: l’unica canzone che va fuori tema ma resta comunque eccezionale nella sua stratificazione e struttura, varie e originali.
E via così nella sezione più ritmata e ballabile, ma anche malinconica, dell’album, che comprende l’ipnotica Mind Mischief, così come la personalissima Feels Like We Only Go Backwards. Con Keep On Lying e Elephant, Kevin Parker decide di lasciare nuovamente spazio alle lunghe jam sposando alla perfezione assoli di synth e chitarra.
Il disco si conclude con Nothing That Has Happened So Far Has Been Anything You Could Control, traccia conclusiva seppur seguita dal toccante valzer su piano Sun’s Coming Up, dedica al padre, musicista anch’egli, morto di cancro (“Playing his guitar while he’s dying of cancer / Oh my father, why won’t you answer?“).
Si ritrovano perciò le sonorità acid di Innerspeaker ma, questa volta, con un’impronta più pop, e più “neo” (-psichedelica). I sintetizzatori adesso sono protagonisti fondamentali, mentre le chitarre si appiattiscono e non sembrano quasi neanche più chitarre. Fanno eccezione alcune sezioni in cui vengono spinte al limite della distorsione, grazie alle interessanti sperimentazioni di Parker con i compressori e gli effetti.
Le capacità di produzione del musicista australiano (“da dietro le quinte”) migliorano ulteriormente, anche grazie all’aiuto di Fridmann. I suoni della batteria sono sempre unici, schiacciati, ma rimbombanti nell’oceano di riverberi e compressori che ricoprono ogni strumento, voce inclusa, amplificando l’immersiva atmosfera del disco.
“I guess I’ll go home / Try to be sane / Try to pretend / None of it happened”
Lonerism è un viaggio di cinquanta minuti (divisi in dodici tracce) nella solitudine, tema già affrontato in precedenza dall’artista, e nell’inappagata necessità di essere qualcuno, esplicitamente dichiarata come “essere qualcuno per qualcuno”. Ma, forse, da intendersi velatamente anche come “diventare qualcuno”, raggiungere la fama e il successo (che arriveranno in quantità, soprattutto dopo Currents, 2015).
In conclusione, il disco rappresenta chiaramente un quadro dell’evoluzione artistica e musicale di Kevin Parker (oltre che quella come uomo). Si presenta come un trionfo di sonorità acid-psichedeliche rinnovate con elementi tendenti al pop (già sintomo del cambiamento di direzione dell’album successivo) sia nella strumentazione che nelle tematiche dei testi. Geniale e vario a livello compositivo ed ancora di più a livello produttivo, Lonerism rientra tranquillamente tra gli LP più importanti degli anni ‘10.
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