Halloween – Recensione del film di John Carpenter

Halloween
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 Halloween è in assoluto uno dei classici indipendenti del cinema horror.

“L’ho incontrato quindici anni fa, era come svuotato, non capiva, non aveva coscienza, non sentiva, anche nel senso più rudimentale, né gioia, né dolore, né male, né bene, né caldo, né freddo. Spaventoso. Un ragazzo di sei anni con una faccia atona, bianca, completamente spenta, e gli occhi neri… gli occhi del Diavolo. Per otto anni ho tentato di riportarlo a noi, ma poi per altri sette l’ho tenuto chiuso, nascosto, perché mi sono reso conto con orrore che dietro quegli occhi viveva e cresceva… il male.”

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Pochi altri film nel corso degli anni hanno condizionato il genere horror in maniera così permanente e tutto ciò nonostante il grande regista John Carpenter abbia altro che reinventato i canoni del genere. Girato in venti giorni, con un budget bassissimo e con mezzi semplicissimi riesce a centrare in pieno il cuore dello spettatore.

In realtà le qualità che hanno trasformato Halloween in un classico dell’horror sono poche ed essenziali.

Una di queste è senza dubbio la colonna sonora, sempre creata da Carpenter e diventata uno degli elementi più iconici del film, oltremodo ossessionante e composta con una successione di poche note insistentemente ripetute (ispirata a quella dei Goblin per Profondo Rosso)Un altro elemento è il colore utilizzato dal direttore della fotografia Dean Cundey, le scene notturne sono immerse in un incantevole blu che conferisce al film un’atmosfera onirica da incubo.

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La soggettiva poi destabilizza con le sue immagini ambigue, e nel tempo enormemente dilatato la tensione si trasforma in paura.

Un braccio si allunga lungo l’inquadratura, è il nostro. Una mano afferra un coltello, è la nostra. Il coltello affonda nella carne, siamo noi. Nell’introduzione del film vediamo un giovane Mike Myers uccidere sua sorella, non vediamo il bambino in azione, ma solo il terribile atto. La soggettiva così assume il suo punto di vista, calando completamente lo spettatore nella parte del protagonista che abbandona il ruolo abituale di osservatore onnisciente, creando così un atmosfera di incertezza e pericolo.

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Quando la giovane Laurie (Jame Lee Curtis) passeggia di notte lungo le desolate strade della città per andare a far visita alla sua compagna di scuola, l’intera sequenza è ripresa in tempo reale, ciononostante sembra infinitamente lunga. Questo perché il pubblico sa qualcosa che la povera protagonista invece ignora completamente;

 Michael Mayers (Tony Moran & Nick Castle) è li ad aspettarla.

Ha già ucciso i suoi amici e dietro le finestre buie attende. Ogni passo che Laurie compie la porta sempre più vicina al feroce assassino. Entrata in casa dal retro, passa per la cucina dove poco prima un coltello ha trapassato il suo amico da parte a parte. Sale le scale, trova la sua amica a letto, ma scopre che quest’ultima è già morta. Un altro cadavere le cade addosso dall’armadio, immediatamente l’assassino in maschera bianca è dietro di lei che avanza lento e inesorabile. Laurie scappa e urla.

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Che a sopravvivere sia solo Laurie, la “diversa” che preferisce fare la babysitter piuttosto che baciare ragazzi, fare sesso o fumare marijuana potrebbe valere al regista l’accusa di moralismo.

Carpenter d’altro canto fa ben intendere che piuttosto che soffermarsi sulla vicenda o sulla psicologia dei personaggi, aveva in mente di trasporre sullo schermo il solo e puro terrore, lo shock e la tensione. Sotto la maschera di Michael Myers non c’è niente di veramente mostruoso, quando per un attimo Laurie riesce a strappargliela, ci viene rivelato semplicemente un volto dagli occhi totalmente assenti, un viso asettico.

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Un fatto forse ancor più terrificante perché ad essere mostruosa allora è la consuetudine, generatrice di situazioni terrificanti, come già visto in soggettiva nell’introduzione del film con il Myers bambino.

Nel finale la protagonista riesce a sfuggire a Michael Myers soprattutto grazie allo psichiatra Loomis (Donald Pleasence) che uccide il killer scaricando su di esso tutte le cartucce della sua revolver, facendolo cadere dal terrazzo del secondo piano. Il suo corpo pare immobile e il dottore continua a osservarlo, ancora preoccupato. Dopo aver controllato le condizioni di Laurie, torna indietro per accertarsi della morte del killer, solo per scoprire che il corpo non c’è più. 

Così sullo schermo scorrono le immagini dei luoghi dove il mostro in maschera ha compiuto i suoi delitti, ed anche se il film è concluso, lui è ancora li fuori nella notte.

Va dato merito al grande John Carpenter di aver creato un modello nonchè un genere, quello slashere dopo 40 anni Michael Myers continua a mietere vittime sullo schermo, ormai per l’undicesima volta.

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