Viaggio a Tokyo - Il capolavoro di Yasujiro Ozu - Una delle opere cinematografiche più importanti di sempre del regista "più giapponese" del Sol Levante.
Il cinema giapponese ha sempre riservato grandi soddisfazioni ai cinefili di tutto il mondo. Oggi i vari Kitano Takeshi, Sono Sion e Miike Takashi sono apprezzati da anni, specialmente nell’ambiente dei festival, ma la tradizione cinematografica del Giappone affonda le sue radici ben più indietro nel tempo. Il cinema arriva molto presto nell’isola ed ha un suo primo periodo d’oro tra gli anni ’20 e ’30. È soprattutto grazie al lavoro di un grande regista come Kurosawa Akira che il cinema nipponico esce dai confini nazionali. Rashomon (1950) viene portato al Festival di Venezia con una mossa audace e vince il Leone d’oro per il miglior film. È la scintilla che fa deflagrare il cinema autoriale nipponico in tutto il mondo.
Tra i grandi nomi di questo particolare periodo storico, oltre al grandissimo Kenji Mizoguchi, c’è quello di un modesto uomo chiamato Yasujiro Ozu.
Yasujiro Ozu, “il più giapponese” dei registi nipponici, è ad oggi considerato uno dei cineasti più importanti ed influenti del mondo. Dopo un primo periodo di carriera da cineoperatore, ha la possibilità di passare alla regia di un film nella sua casa di produzione, la Shochiku. Tra il 1927 ed il 1962 girerà 54 film, di cui soltanto 39 sono oggi interamente reperibili. In queste 54 pellicole infonderà il suo tocco unico, prediligendo sempre i drammi moderni (i cosiddetti Gendaigeki). Tra queste, Viaggio a Tokyo (Tokyo Monogatari, 1953) è da molti considerato il suo capolavoro, la massima summa del grande lavoro artistico del Maestro Ozu.
Una sensazionale visione della quotidianità
Shūkichi e Tomi Hirayama sono una coppia di anziani che, alle porte dei settant’anni, decidono di intraprendere un viaggio dalla provincia verso Tokyo per visitare i figli, ormai sposati e nel pieno delle rispettive carriere lavorative. I due vengono ospitati prima dal primogenito, medico, ed in seguito dalla figlia, che fa la parrucchiera. Presto però si renderanno conto di come ormai i figli non hanno più tempo da dedicare loro, così presi dal lavoro. Troveranno però conforto in Noriko, la loro nuora, rimasta vedova del figlio morto in guerra.
Come sempre Ozu scrive una sceneggiatura senza grandi avvenimenti, in cui saranno i personaggi con i loro dialoghi a scandire il ritmo della pellicola. L’azione viene totalmente eliminata e, con grande perizia, i tempi diventano quelli della vita comune: uno degli elementi caratteristici di un cinema fortemente realista. Proprio nei dialoghi Ozu riversa il suo tocco elegiaco, candido e leggiadro, ma anche fortemente melanconico. I temi tipici del regista ci sono tutti: primo su tutti la famiglia, ma anche lo sfaldamento generazionale e la modernità simboleggiata dalla città, il tutto sottolineato dall’atmosfera contemplativa ed un minimalismo oltre che di scrittura anche visivo.
Senza più l’ingombro della finzione, Ozu è libero di ricreare la società contemporanea nipponica all’interno delle sue stanze squadrate.
La predilezione degli interni è, infatti, oltre che una comodità per la casa di produzione, una scelta stilistica e culturale ben precisa. Così come la scelta di posizionare la macchina da presa ad altezza tatami, che nessun regista aveva mai osato in patria.
È senza dubbio una delle caratteristiche che saltano più all’occhio quella della regia dei dialoghi. Ozu, non particolarmente avvezzo alla grammatica tradizionale cinematografica (che pure conosceva e sapeva rispettare), inventa un modo totalmente nuovo di girare le sue scene maestre. Con la macchina fissa ad altezza sguardo, il regista nipponico decide di piazzare la camera in maniera quasi frontale, sulla retta ideale che passa tra i due interlocutori.
È una rivoluzione enorme, che rifiuta la classica ripresa di sbieco dei due personaggi.
Allo stesso tempo rispetta però la formalità del campo/controcampo e dei relativi piani di insieme che precedono e seguono i dialoghi. La cura maniacale del regista fa sì che si vada a creare una sorta di soggettiva e controsoggettiva, senza che gli attori guardino in macchina. Un’invenzione geniale che si rispecchia perfettamente nella sua idea di cinema e che rende ogni suo film unico e facilmente riconoscibile.
Se dunque i dialoghi sono la parte su cui punta di più Ozu, gli attori rivestono un ruolo importantissimo nell’economia del film. Il regista può contare qui sulla presenza dei suoi due attori feticcio, Chishu Ryu e Setsuko Hara, impareggiabili interpreti della poetica del Maestro giapponese. Ozu riesce a spremere al meglio i suoi attori e richiede loro la sua stessa maniacalità.
Viaggio a Tokyo è oggi considerato uno dei film più belli della storia del cinema e Yasujiro Ozu uno dei registi più influenti di sempre. Il suo stile unico ed inconfondibile ha cominciato ad essere conosciuto in tutto il mondo a partire dagli anni ’60, specialmente dopo la morte, avvenuta il giorno del suo compleanno, il 12 dicembre 1963. La sua lezione di cinema continua, ancora oggi, ad essere insegnata nelle scuole di cinema e le sue pellicole ad essere analizzate ed amate dagli appassionati di cinema orientale. Un’eredità importante soprattutto nel cinema nipponico, grande debitore nei confronti di quel Maestro del cinema ad altezza tatami chiamato Yasujiro Ozu.