10 masterpieces asiatici che tutti dovrebbero vedere

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Il cinema orientale è in assoluto uno dei più importanti e meglio strutturati della storia.

Un contenitore enorme di opere incredibili, che hanno saputo rivoluzionare i generi d’appartenenza ed emozionare centina di persone in tutto il mondo. Un’arte capace di vivere attraverso la sua estetica e l’essenza ad essa legata. Emozioni ed ambientazioni a noi lontani, che trovano però forma e colore in quel tipo di cinema che ama tanto dare spazio al lato poetico delle cose. Un ambiente che deve essere esplorato continuamente e che merita sicuramente più attenzione sia per l’originalità dei suoi contenuti e sia per il modo con cui li espone, mai grezzo e adito unicamente al denaro. Ecco qui 10 masterpiece asiatici che tutti dovrebbero vedere almeno una volta nella vita, tra i molti che esistono.

1. I Sette Samurai – Akira Kurosawa (1954)

10 masterpiece asiatici che tutti dovrebbero vedere

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I Sette Samurai è una delle colonne portanti della settima arte, una pellicola estremamente importante e che ha fatto nascere nel cinema l’idea che un gruppo di uomini solitari si possa unire per combattere per una giusta causa. Una pellicola bucolica nella sua essenza e che racconta di un’epoca ormai persa nel tempo e caratterizzata dalla violenza e dalla supremazia del più forte. Un racconto fatto di essenze, che non dipinge mai i suoi personaggi come buoni o cattivi, ma che si limita a narrare una storia in modo onesto e senza inutili ricami. L’ottima fotografia, la regia curata e in grado di valorizzare le scene d’azione, la storia e la rivoluzione cinematografica in essa, fanno di quest’opera un vero e proprio capolavoro imperdibile per tutti gli appassionati del genere.

Un film che prende ed estrapola le figure del folklore giapponese, incastonandole in un racconto epico, in grado di conferire vitalità e colore a tutto ciò che si muove al suo interno. Nulla quindi risulta piatto ed inconsistente, ogni elemento viene valorizzato attraverso la sceneggiatura o la regia dell’autore. Un’opera che tende in maniera indiretta ad iconizzare le figure che utilizza, senza però mai definirle in maniera netta e banale. I Sette Samurai di Akira Kurosawa è un’odissea in un modo medievale, una realtà ormai lontana da quella che oggi conosciamo e che viene resa come concetto attraverso una fotografia volutamente in bianco e nero, che conferisce maggior distacco tra lo spettatore e l’epoca a cui assiste. 

2. In the Mood for Love – Kar-Wai Wong (2000)

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Un amore frammentato, spazialmente e temporalmente. Una sequenza di ricordi, di flebili flash che mostrano la nascita e la crescita del rapporto tra due individui, prima estranei e poi amanti. Un film delicato, poetico che tratta il tema dell’amore in un modo autentico e sincero. Un’opera scevra da ogni banalità legate al genere, che delinea due personaggi persi nell’immensità del creato e alla ricerca di una speranza per loro stessi e per i loro sentimenti. Una delle pellicole più belle del nostro secolo, dai colori vivi, prima caldi e poi freddi e da una colonna sonora affascinante e perfetta per la storia narrata. Un film che vive di attimi, di quegli istantanei e di tutto ciò che ci rimane impresso nella mente in modo indelebile. In the mood for love fa del tempo la sua arma più potente, imbastendo un racconto nostalgico, famigliare a tutti gli esseri umani, e capace di rappresentare perfettamente quelle sensazioni che ognuno di noi ha provato almeno una volto. Il rosso, simbolo della passione e del sentimento, conduce i due amanti e lo spettatore attraverso un labirinto di ricordi e di frasi non dette, dal quale è impossibile restare indifferenti. L’opera di Kar-Wai Wong porta in scena due figure danzanti, lui e lei, che ballano una canzone che solo loro possono sentire e in luogo che ormai non esiste più.

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3. Audition – Takashi Miike (1999)

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In una realtà dove le donne vengono trattate alla stregua di oggetti, la vendetta femminile sopraggiunge spietata, silenziosa e soprattutto senza nome. Un uomo stanco di essere solo al mondo e con un figlio a cui badare, decide di fare un’audizione per trovare una moglie ideale e servizievole, che lo possa accompagnare nella vita di tutti i giorni. La ragazza che viene prescelta non esiste realmente, o meglio rappresenta tutte le quelle donne che non sopportano più di essere relegate in ruoli che non sentono propri. Stanche di essere paragonate ad oggetti o a trofei da esposizione, decidono di ribellarsi al genere maschile, prendendosi una vendetta, meditata da tempo. Un’opera dalla regia incantevole, a tratti quasi delicata, che fa della violenza fisica e psicologica la sua arma vincente.

Audition di Takashi Miike punta tutto a raccontare una storia spietata, senza edulcoranti di sorta, e pronta a colpire che la sua brutalità poetica. I colori accesi e cupi, utilizzati all’interno del film, sono in grado di donare un’atmosfera quasi sognate e surreale alle vicende narrate, donando maggiore fascino al tutto. Un’opera che non può lasciare indifferenti, sia per il modo arguto con cui affronta il tema e sia per lo stile prescelto con cui decide di farlo. Takashi Miike fa quindi scontare l’eleganza e la brutalità, in una storia che è teatrale nella propria essenza, dove tutto quello che è importante viene detto attraverso il silenzio.

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4. Ugetsu – Kenji Mizoguchi (1953)

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Il folklore giapponese qui prende vita e si trasforma in una fiaba nera che si base principalmente “sull’ideale dell’ostrica”, tanto caro a Giovanni Verga. Il debole è destinato a rimanere relegato alla sua misera condizione di vita e non gli è concessa nessuna via di fuga. Un prigioniero che, nonostante tutti i suoi sforzi per evadere da quella realtà, rimane attaccato allo scoglio su cui è nato, obbligato a vivere secondo i valori della famiglia, del lavoro e delle tradizioni ataviche.

Ugetsu porta in scena quindi un racconto drammatico, a tratti gotico, che attraverso le molte figure legate alla tradizione giapponese, porta un insegnamento tanto struggente, quanto soffocante. Un capolavoro visivo e narrativo unico, con una delle migliori fotografie dell’epoca e delle ambientazioni in grado di raccontare storie ed emozioni, al posto dei personaggi. Kenji Mizoguchi realizza quindi una pellicola aggraziata e raffinata, che mostra la sua crudeltà nei messaggi in modo velato e senza mai rimarcare in modo netto quello che dice. Un’opera poetica ed intesa che stupisce ed incanta, sia per quel che mostra e sia per quel che vuol trasmettere.

5. Ferro3 – Kim Ki-Duk (2004)

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Due anime sole, perse nel caos dell’esistenza, che si incontrano per puro caso e che decidono di unirsi in un viaggio simbolico, destinato ad esplorare piccoli universi. Mondi inesplorati, sospesi dal tempo e dalla realtà, che non sono altro che le case lasciate incustodite dai loro proprietari. I protagonisti di quest’opera sono senza un’identità, creature indistinte e alienate che si immergono nella vita degli altri per acquisire colore e consistenza. Spiriti che vagano per il mondo, senza dire una parola e che scelgono un silenzio più significativo per creare una realtà più conforme al vuoto interno che li caratterizza.

Un film poetico, introspettivo e allegorico, che trascina lo spettatore in una dimensione straniata dalla realtà e che fa della sua natura ermetica il suo punto di forza. Una regia elegante e che si focalizza su dei protagonisti senza voce, quasi per trasmettere allo spettatore, il concetto basilare che senza emozioni non c’è parola e quindi condivisione verso l’altro. Un discorso profondo, affrontato in modo originale e autoriale, che fornisce spazi vuoti e pronti ad essere riempiti dalle sensazioni degli spettatori.