House of Cards – Un’analisi filmica della manifestazione del potere

House of Cards è una delle serie più seguite degli ultimi anni. Recensirla non è facile, ma è necessario.

Il presidente Underwood è seduto alla scrivania dello studio ovale. Indossa un completo nero e una cravatta rossa. L'espressione è quella della soddisfazione, mentre firma un editto con una postura piena di sé. E' uno dei tratti distintivi del protagonista di House of Cards
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House of Cards – Il potere della politica, e della suggestione filmica

Il presidente Underwood, fotografato di tre quarti, in bianco e nero, guarda in camera circospetto. Altra caratteristica del protagonista di House of Cards.
Francis Underwood

Machiavellico. Il primo concetto a cui si fa riferimento pensando ad House of Cards è questo. L’essere machiavellico. Sicuramente, ma insufficiente. Per arrivare alle origini del potere, di cosa vi è alla base, non basta un aggettivo. L’opera in questione è un’accurata descrizione sull’utilizzo del potere tra le più interessanti in circolazione. Non ci sono capitoli, ci sono personaggi, c’è una regia simmetrica al di fuori della quale i vari registi non escono mai.

Sempre in bianco e nero, ma ripreso a mezza figura, a braccia conserte, di fronte al Big Ben, vediamo Francis Urquhart, protagonista dell'House of Cards originale. E' piuttosto avanti con l'età, ha i capelli bianchi, e un'espressione sorniona, quasi bonaria.
Francis Urquhart

Perché la rappresentazione della crudeltà, e del potere appunto, deve essere un asse immobile girato verso il personaggio, collocato in una perfetta scenografia fatta di colonne, tende, muri portanti e mobili sempre al posto giusto. Il più terrificante e affascinante personaggio è senza dubbio lui, il Presidente Underwood. L’unico ad avere la facoltà, almeno fino alla quinta serie, di muoversi liberamente in questa simmetria registica perfetta, studiata per condurre lo spettatore nella scalata dei coniugi Underwood, dopo il tradimento del Presidente Walker.

 

 

1. Il potere è autodeterminazione

“Urquhart non era d’indole socievole. Aveva passato l’infanzia a vagabondare da solo, o con un cane e uno zainetto di libri, nella tenuta di famiglia in Scozia, ma pur avendo imparato a convivere con se stesso non gli bastava mai. Aveva bisogno degli altri, non solo per starci insieme, ma anche per scontrarcisi, in modo da misurare le proprie forze”

L’analisi dovrebbe cominciare da questa descrizione del Francis originale, quello britannico di Michael Dobbs, e di un’House of Cards piuttosto tatcheriana. Entrambi i Frank finiscono per governare nazioni, ma il loro percorso edificante inizia da una famiglia modesta e dal disadattamento.

La prima parte riguarda l’isolamento, l’accrescimento della concezione di sé stessi. In questo Underwood è un maestro spudorato. Cinque serie sono cucite addosso a Spacey col proposito di sfoggiare la sua disinibita spavalderia, fondata sul sacrosanto preconcetto che i propri ideali sono l’unica fonte di verità. Principi al di sopra di ogni morale, utili al fine di realizzare, se non un mero ideale, almeno ciò che si desidera di più al mondo: l’immortale edificio marmoreo chiamato potere.

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Sin dalla prima stagione Underwood ci interpella costantemente, guarda in camera rompendo la quarta parete per parlarci o per lanciare sguardi d’intesa allo spettatore; un pubblico ansimante ad ogni perla di cinismo lanciata, come fossero dei mantra, contro oppositori e situazioni.

L'immagine è la più simbolica di House of Cards. Alla fine della seconda stagione, il Presidente Underwood sposta la poltrona dietro alla scrivania nella sala ovale, accarezza il pianale in pelle, alza lo sguardo in camera e picchia due colpi di anello sul tavolo. Il gesto è tipico del protagonista, quando raggiunge qualcosa di importante.

Nella diegesi, Frank viene udito solo dalla moglie Claire, la quale non lascia intendere dove stia la sua moralità. Dalla parte del potere, più per via di scelte portate avanti ad oltranza e a discapito di ciò che veramente le sta a cuore, o è possibile sia davvero l’unico personaggio peggiore del marito. L’ultima inquadratura della quinta stagione, la vede finalmente al posto di Frank, sul trono del potere.

Ha già iniziato a parlare allo spettatore da qualche puntata, quando decide di stordirci con una cannonata che un po’ tutti ci aspettavamo, ma che ci lascia comunque sgomenti. Claire nega al marito la grazia, guarda in camera, e lo abbandona, perché “adesso è il mio turno”. Il sipario si chiude, la guerra è aperta, l’auto affermazione non finisce mai.

Il dolore aiuta ad autodeterminarsi

L’autodeterminazione in House of Cards si fa viva sin dal primo episodio. Francis ci parla del dolore, di quanto sia utile se ti fortifica e ti educa, e di come possa anche essere inutile, facendoti solo agonizzare. “Io perdo la pazienza con le cose inutili”. E alla prima vittima del suo cammino, un cane ferito da una macchina sul ciglio della strada, viene risparmiato questo inutile dolore.

Lo finisce senza esitazione, sicuro delle proprie azioni, derivate dalla concezione di sé. E allora avanti, finché tutti i tasselli non saranno caduti ed esisterà una sola nazione: Underwood.

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2. Il potere non è (solo) danaro

Nonostante alla fine della quinta stagione le ideologie di Underwood nei confronti della natura del potere subiranno una sterzata, viene palesato sin dal primo episodio il suo rapporto col danaro. Una relazione basata sulle differenze, e FU tiene a sottolinearlo con una saccenza che non possiamo non condividere.

I soldi sono come ville di lusso che iniziano a cadere a pezzi dopo pochi anni; il potere è la solida costruzione in pietra che dura per secoli. Non riesco a rispettare chi non vede questa differenza

Raymond Tusk, anziano magnate pelato dell'energia, e l'allora vicepresidente Frank Underwood, sono ripresi di lato, mentre si guardano. Sono in vestaglia, è notte, e sono in cucina a fare uno spuntino notturno. L'inquadratura è controllata e soffusa, come tutte quelle importanti in House of Cards.Non possiamo dargli torto, anche se uno influisce pesantemente sulle dinamiche dell’altro. Cosa che anche Underwood dovrà ammettere, abbracciando senza indugi la nuova direzione intrapresa per consolidare la propria autodeterminazione; attraverso la moglie alla Casa Bianca e la sua influenza nel settore privato.

Raymond Tusk è il testimone di questa regola cristallina, che vede il potere dei soldi come meno autorevole del potere stesso. Tusk è un uomo d’affari che controlla l’energia nel settore privato, quel ramo del potere capace di influenzare e soggiogare le dinamiche della politica, ma il quale non può sopravvivere senza di essa. La contrapposizione può essere parafrasata da una frase di Tusk sui processi decisionali che condizionano l’essere umano:

Le decisioni basate sulle emozioni non sono decisioni, sono istinti, che possono essere preziosi. Il razionale e l’irrazionale sono complementari. Presi individualmente sono meno potenti.”

Razionalità e irrazionalità sono come i soldi e il potere; sostengono la reciproca sopravvivenza, ma sono i primi a costruire l’edificio dell’altro. Chi la spunta alla fine è sempre la politica, con in mano le leggi in grado di punire chi possiede i soldi. Ma chi se ne importa, se lo scopo della tua vita è costruire una nazione a tua immagine e somiglianza! Vero FU?