Ed Kemper: la vera storia del serial killer più iconico di Mindhunter

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Questa è la vera storia di Ed Kemper, un serial killer che Mindhunter riprende come uno dei personaggi più memorabili della serie

Ed Kemper: il serial killer “gentile”

Edmund Kemper, noto come Ed, è stato uno dei serial killer più carismatici e disturbanti del XX secolo. La sua storia è stata portata nuovamente all’attenzione del grande pubblico grazie alla serie televisiva Mindhunter, che esplora la psicologia di criminali seriali come lui, intervistati da un’unità speciale per introdurre nuove metodologie nella caccia ad assassini di questo calibro.

Ciò detto, la verità dietro la figura di Kemper va ben oltre la finzione televisiva, e svela una storia cruda e agghiacciante. Nato nel dicembre del 1948, Kemper visse un’infanzia turbolenta segnata da un ambiente familiare disfunzionale. I rapporti problematici con la madre, che spesso lo derideva per la sua taglia e lo avversava per qualunque minuzia, crearono presto un clima fortemente instabile.

La classica infanzia difficile

Già da bambino Kemper si divertiva a torturare e ad uccidere animali, compiendo anche poi strani rituali con le bambole della sorella, alle quali staccava gli arti. A soli 15 anni commise il suo primo omicidio, uccidendo i suoi nonni a fucilate e a quanto pare solo in seguito a una discussione. Questo episodio segnò a tutti gli effetti l’inizio della sua carriera criminale.

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Dopo essere stato giudicato colpevole dell’omicidio dei nonni, Kemper venne inviato in un istituto psichiatrico giovanile. Dopo diversi anni di trattamento venne rilasciato, all’età di 21 anni: all’inizio gli era stata diagnosticata una forma di paranoia schizofrenica, ma i dottori che lo presero poi in esame lo trovarono perfettamente normale, con un alto QI e una personalità metodica e stabile.

Gli omicidi: le autostoppiste e la madre

Questo non gli impedì, tra il 1972 e il 1973, di uccidere altre otto persone. La maggior parte di esse erano giovani donne autostoppiste che Kemper uccise brutalmente e delle quali abusò in maniera terrificante: dopo gli omicidi, mutilava i corpi e si impegnava in atti di necrofilia. Questi comportamenti disturbanti sono parte integrante della sua sconvolgente leggenda criminale e dell’interesse controverso sorto negli anni attorno ad essa.

Secondo gli psichiatri tutte queste donne erano solo un surrogato del suo bersaglio finale: sua madre, con la quale conviveva anche da adulto e si scontrava all’infinito, in una lotta senza risultati. Kemper arrivò infine a uccidere anche lei, nel sonno, con un martello e un coltellino; lei e la sua amica Sally, invitata a cena da Kemper e poi strangolata, furono le sue ultime vittime.

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La resa, la condanna e le motivazioni

Il 20 aprile 1973, poiché nessuno scopriva i suoi omicidi e nessuno lo arrestava, Kemper chiamò la polizia e si costituì di sua sponte, confessando tutto. La ragione a quel punto, disse, fu che: “Il proposito originale non c’era più. Era solo una perdita di tempo”. Venne condannato a vita, non riuscendo a farsi dichiarare mentalmente instabile, e riconosciuto colpevole di tutte le accuse.

Da allora si trova nel California Medical Facility, dove per un periodo rimase rinchiuso nello stesso blocco dove si trovava Charles Manson. Com’è noto negli anni si è dimostrato ampiamente amichevole, gentile e disponibile a raccontare la sua storia e a confrontarsi con psicologi e giornalisti, fornendo uno spaccato unico della mente di un serial killer. Ma, ancora oggi, su quel che veramente gli passa per la testa nessuno potrebbe mettere la firma con sicurezza.

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