Gorillaz – Cracker Island | RECENSIONE

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Nel nuovo album i Gorillaz si trasformano praticamente in Tame Impala (con tanto di comparsata di quest’ultimo), ma un disco bello e colorato si rivela anche fin troppo breve

Più che un disco del 2023 questo nuovo album dei Gorillaz, Cracker Island, sembra un disco del 2017. I suoni sono quelli indie-synth a tratti psichedelici che non si possono non associare ormai, dopo tredici anni, a Tame Impala, il quale del resto compare nell’album stesso, nella realizzazione di un featuring atteso per anni dai fan di entrambi i progetti e che non ha deluso le aspettative.

Cracker Island è un album imperniato molto su suoni artificiali, a tinte elettroniche, che vaga da qualche parte tra l’art pop atmosferico e il cantautorato post-moderno di Damon Albarn. Gli arrangiamenti sono ovviamente la parte forte, qui discosti da rap e R&B e molto incentrati su sound caleidoscopici, con colori caldi che risultano da toni positivi, speranzosi, allegri e scanzonati.

Non sono quindi i Gorillaz più malinconici quelli che sentiamo, anche se certo una certa dose di commozione nel cantato e nei testi di Albarn si trova sempre. Ma Cracker Island suona comunque come un divertissement più che come un progetto serio mirato alla creazione di una tracklist ambiziosa e significativa.

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Sarebbe a dire che seppur cercando di commentare la complessità dei tempi moderni restando fedele all’immaginario e alla lore della virtual band, l’artista inglese pare qui più che altro volersi divertire con i suoi collaboratori, fare buona e bella musica e perdersi in suoni (retro-)futuristici aggiornandosi ai gusti dei (già non più giovani) millennial. Non che ci sia niente di male, chiaro.

Peccato però che abbia commesso un errore che sempre più artisti commettono: rilasciare come singoli tutte le migliori canzoni dell’album prima dell’uscita dello stesso. In questo modo la parte migliore del disco è già stata “spoilerata” e i pezzi che rimangono, per quanto validi, non concorrono ad un ascolto completo e soddisfacente.

Questo anche considerando che il disco dura solo poco più di una mezz’ora, anche questa prassi sempre più diffusa pure per band cult che ritornano dopo anni di inattività. Dieci canzoni, ottime ma che lasciano un po’ il sapore di un piacere gustato in fretta e furia, come una caramella che si scioglie subito in bocca.

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Se New Gold è indubitabilmente la canzone migliore di gran lunga (grazie al tocco magico del re Mida della neo-psichedelia, Kevin Parker) nonché uno dei brani migliori del 2023, spiccano anche la collaborazione con l’inarrestabile Thundercat nella title track, la fiaba romantica e onirica di Baby Queen, e l’esperimento mezzo pop punk di Skinny Ape.

Ottima anche la comparsata di Stevie Nicks (la quale, tanto per ricordarlo, al momento ha 74 anni) in Oil; delude invece Beck Hansen, recentemente rientrato in fase acustica (come nei suoi album Sea Change del 2002 e Morning Phase del 2014) come conferma anche il suo più recente singolo, Thinking About You: un’occasione sprecata.

Conclusione: che Damon Albarn sappia fare buona musica è assodato e che dai Gorillaz ci siano sempre da aspettarsi produzioni e arrangiamenti interessanti è fuor di dubbio. Ciò detto, Cracker Island avrebbe funzionato forse meglio, ripetiamo, negli anni ’10 e in un contesto musicale nel quale queste formule sonore erano ancora relativamente inedite.

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