Resident Evil, le origini quasi dimenticate della serie: Sweet Home

Resident Evil, nelle sue fasi embrionali, nasce come remake di un altro gioco: Sweet Home

Sweet Home - Resident Evil
Cover art di Sweet Home. Credits: Wikipedia | Diritti detenuti da Capcom
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Capcom ha da poco concluso il Resident Evil Showcase, un evento con tante succose notizie per i fan della saga (anche se qualcuno si aspettava l’annuncio di un nuovo remake). Chiamata Biohazard in Giappone, la serie survival horror per eccellenza sembra vivere una seconda giovinezza: tra remake, nuovi capitoli, film, le vendite sono alle stelle.

Quanti conoscono però la vera origine di questo franchise multi milionario? I più navigati, per non dire attempati, ricorderanno Alone in the Dark, sicuramente fonte di ispirazione. Tuttavia Resident Evil, nelle sue fasi embrionali, nasce come remake di un altro gioco: Sweet Home.

Casa dolce casa

Nell’ormai lontano 1989, Capcom portò l’horror nel mondo console con Sweet Home, rilasciato su Nintendo Entertainment System (chiamato Famicom in Giappone). Il gioco è basato sull’omonimo film scritto e diretto da Kiyoshi Kurosawa. Purtroppo nessuna delle due opere è mai stata distribuita ufficialmente fuori dalla terra del sol levante. Le premesse del gioco e del film sono le stesse: cinque personaggi si addentrano nella villa abbandonata di un famoso pittore, morto trent’anni prima, per documentare la ricerca dei suoi capolavori perduti. Ovviamente la villa è infestata da un ricco assortimento di mostri, fantasmi, zombie e aberrazioni affini.

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Un longplay di Sweet Home | dal canale World of Longplays

Sweet Home non è un survival horror, o almeno non lo è secondo i canoni moderni del genere, definiti proprio da Resident Evil e poi da Silent Hill. Si tratta infatti di un gioco di ruolo giapponese, o JRPG, sullo stile dei primi Final Fantasy o Dragon Quest. Il giocatore è chiamato a vestire i panni dei cinque protagonisti, ognuno con le proprie abilità uniche e caratteristiche che ricalcano i ruoli classici dei gdr. Il party può essere però composto solo da un massimo di 3 personaggi, è necessario quindi organizzare bene come muoversi a gruppi all’interno della villa per… sopravvivere.

Orrore e sopravvivenza

Giocare a Sweet Home stupisce ancora oggi. Anzi, forse oggi più che mai. Pur non essendo un survival horror moderno, come dicevamo, alcuni dei pilastri del genere sono già ben definiti. La prima cosa che colpisce è l’atmosfera fin da subito opprimente. La scelta cromatica, le musiche sinistre, i nemici distorti e dai dettagli macabri contribuiscono ad una sensazione di disagio costante.

L’altro elemento fondante è il survival. Contrariamente ai canonici JRPG, non ci sono negozi che vendono oggetti dentro la villa e i mostri uccisi non hanno tasche piene di monete. I protagonisti devono sopravvivere con i loro mezzi, facendo affidamento solo sulle proprie abilità e sugli oggetti che riescono a recuperare esplorando la villa maledetta. Le similitudini tra Sweet Home e Resident Evil non finiscono qui: troviamo infatti l’utilizzo di elementi scenici per raccontare la storia, come note o appunti lasciati in giro per le stanze, oppure i finali multipli. Persino la sequenza di apertura delle porte, usata in Resident Evil come modo elegante per mascherare i caricamenti, è pressoché identica.

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Origini nobili per Resident Evil   

Anche se sconosciuto ai più, Sweet Home era e rimane un ottimo gioco, da molti considerato tra i migliori GDR disponibili sull’8-bit Nintendo. Oltre all’indubbia originalità, Capcom è riuscita a spremere bene le potenzialità tecniche della console, con un comparto audio/video apprezzabile ancora oggi. Il gioco, inoltre, può finalmente essere apprezzato anche da chi non parla giapponese grazie ad una fan translation.

L’amatissima serie di Resident Evil ha quindi delle origini nobili. Guardate bene il trailer di Village adesso. La trovate ancora lì quella oscurità mista a senso di oppressione nata oltre trent’anni fa.

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