Dogtooth, il capolavoro nascosto di Yorgos Lanthimos

Dogtooth, il capolavoro nascosto di Yorgos Lanthimos, arriva in sala il 27 agosto!

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Una prigione d’oro di chiara matrice orwelliana in cui nulla è quello che sembra…

A 11 anni dalla sua produzione, dal 27 agosto sbarca anche in Italia sul grande schermo Doogtooth, il capolavoro nascosto di Yorgos Lantimos. Un film che attinge dalla letteratura distopica, virando però nettamente su lidi più realistici, più concreti. E per questo molto più disturbanti.

Dogtooth è forse il film che ha dato il via al nuovo cinema greco, un cinema che sviscera una società dichiaratamente disfunzionale, a partire dall’istituzione familiare. Una corrente che abbiamo già visto esprimersi ad alti livelli con Miss Violence (2013), di cui ora possiamo ammirare una nuova gemma nascosta grazie a Lucky Red.

Il titolo originale in lingua greca, Kynodontas, significa dente canino. Una parte del nostro corpo, il canino, che ci ricorda come la nostra origine sia da rintracciarsi nel regno animale: siamo esseri carnivori, guidati dagli impulsi e, per questo, punibili giacché inclini al peccato.

Dogtooth racconta la storia di cinque persone, il classico nucleo familiare benestante in cui non esistono nomi ma solo ruoli pre-impostati: padre, madre, due figlie, un figlio. Una bella casa con piscina e giardino immersa nella campagna greca. Cosa c’è introno a quelle mura, non lo sappiamo.

Lanthimos scruta ciò che accade all’interno dell’abitazione, realizzando un vero e proprio manifesto di come andrebbe girato un disturbing drama, aggiungendo un tocco fiabesco che innalza il livello di inquietudine generata. I tre giovani non hanno mai visto il mondo oltre quelle mura: oltre quella lussuosa casa, per loro, esiste solo l’ignoto…

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Il momento adatto per fuggire (è il caso di dirlo) da quel posto tanto bello quanto opprimente coinciderà con la caduta del canino destro. Così recita il padre-padrone di famiglia, patriarca possessivo convinto di far del bene praticando un inconsapevole male.

Una falsa speranza portata avanti dal più classico dei mantra: “è per il vostro bene”. O anche “per la vostra sicurezza”, come recita la narrativa di molti regimi totalitari, maniaci del controllo ad ogni costo.

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Passa il tempo e i tre figli crescono, divenendo dei giovani adulti ma con la mente ancorata al periodo infantile. Bambini cresciuti ma pur sempre bambini. Lo vediamo nei loro giochi, nei loro momenti di ingenuo ed innocente svago, subito dopo uno studio folle e veicolato dove una poltrona coi braccioli in legno viene chiamata “mare”.

Esseri umani addomesticati, senza un apparente e dichiarato motivo. Funziona così in quella malsana famiglia dove chi porta i soldi a casa, decide. La moglie e madre è relegata con loro dentro quelle mura. Ciò che la contraddistingue però è la consapevolezza di quello che sta accadendo.

Ai tre figli, qualsiasi via di conoscenza del mondo esterno viene negata. La loro reclusione non si limita alla mera limitazione fisica, qualsiasi contatto con “l’altrove” gli è totalmente precluso…

Dogtooth, una fiaba orwelliana

Ecco quindi che torniamo di nuovo a quel capolavoro distopico che è 1984, nello specifico il concetto che George Orwell introduce di Neolingua. Mezzo espressivo funzionale a soffocare ogni forma di comunicazione al di fuori di se stessa, affinché tutto sia costantemente sotto controllo. Un’ideale catena che perseguiterà i tre giovani nel caso in cui dovessero riuscire a conquistarsi una via di fuga.

Come essere ciechi in mezzo ad un deserto, alienati da un sistema malvisto dove la cura diventa più grave del malanno. Perché in fin dei conti la ratio dietro a tale gesto pone le sua fondamenta su un’incoerenza del genere. Repressione in risposta ad un qualcosa che non piace. La storia, insegnante di vita, ci insegna che così non è e non può essere.

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La repressione si ritorcerà sempre contro chi la pratica e l’equilibrio morboso si spezzerà. Il terrore e la paura prenderanno sempre il sopravvento causando l’inevitabile caos. Non serve parlare dei gatti come temibili predatori per incutere timore.

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La paura, l’istinto (ancora una volta) di sopravvivenza si faranno progressivamente largo. E con essa, il caos che sovvertirà ogni cosa, salvo repentini interventi di chi vuole mantenere il controllo a tutti i costi.

Il crudo sguardo realista di Lanthimos

Lanthimos riesce a produrre un vero capolavoro nascosto grazie alla sua capacità di scrittura, che attinge a piene mani da Orwell ma anche e soprattutto dalla sua regia, vero fiore all’occhiello di Dogtooth.

Uno stile che punta a disturbare lo spettatore, giocando con il suo inconscio e con una cultura visiva popolare quale quella legata al documentario. L’emblematico incipit del film pone le sue basi proprio sul voler rendere reale una storia di fantasia.

L’uso della camera fissa e del fuori campo, in un dialogo che vede la sola presenza della figlia più giovane mentre propone un gioco infantile per passare il tempo, acquisisce un certo valore estetico di pregevole fattura.

Sarà l’innesco, il “là” a quello che poi andremo a vedere in seguito, dove la macchina da presa di Lanthimos si limiterà ad osservare, razionando gli stacchi al minimo indispensabile.

Tra long take e piani sequenza, Dogtooth si insinua nello spettatore, raccontando una storia di totalitarismi, di repressione e di famiglie disfunzionali che ricalcano la narrativa patriarcale del padre-padrone, figura dittatoriale che soggioga con il suo credo chiunque lo circondi.

Praticare il male credendo di fare del bene, attraverso la manipolazione. Un gesto meschino che l’acclamato regista greco ci racconta con uno stile che abbraccia il cinema verità ma che al tempo stesso ammicca ad una favola oscura, trasformando una macabra finzione in una cruda e disturbante realtà grazie a precise scelte registiche. Un capolavoro da assaporare più e più volte, cogliendo sempre una nuova sfumatura.

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