Com’è cambiato il cinema? | Differenze tra pellicola e digitale

Per più di un secolo la pellicola è stata la base stessa del cinema, ma, con l’avvento del nuovo millennio, le cose sono velocemente cambiate.

Una scena di Nuovo Cinema Paradiso
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Era il 28 dicembre del 1895 quando i fratelli Lumière proiettarono per la prima volta il loro primo cortometraggio, La sortie des usines Lumière. Un’unica inquadratura che mostrava operai in movimento. Eppure, già allora, ci si rese conto della straordinaria innovazione di questo semplicissimo filmato. Una tecnica che avrebbe cambiato per sempre la storia delle arti, introducendo quella che oggi viene universalmente definita la settima forma espressiva: il cinema.

E, per più di un secolo, la base stessa di questa arte è stata la pellicola, un nastro perforato che permetteva di imprimere e riprodurre immagini in movimento. Ma, così come il cinema stesso si è rapidamente evoluto di anno in anno, anche le pratiche di riproduzione si sono velocemente modificate. Se fino a qualche decennio fa, infatti, i formati in 35 o 70 mm andavano per la maggiore, oggi si può ufficialmente affermare che il monopolio filmografico sia in mano al digitale.

Dalla pellicola al digitale, un po’ di storia

La nascita della pellicola

La storia della pellicola conta un percorso lungo e articolato, fatto di continue innovazioni. Sebbene, infatti, si possa far risalire la nascita della pellicola flessibile già al 1885, su iniziativa del reverendo Hannibal Goodwin, possiamo iniziare a parlarne in senso cinematografico solo dal contributo dei fratelli Lumière, avvenuto qualche anno dopo. Le pellicole erano inizialmente composte di celluloide, un materiale altamente infiammabile. Inoltre, venivano utilizzate anche per supporti fotografici (come le macchine Kodak, ideate già sul finire del XIX secolo da George Eastman) e altri marchingegni, come il Kinetoscopio di Thomas Edison.

Tuttavia, ben presto, questi macchinari e i diversi tipi di filmati iniziarono ad essere contraffatti, sperimentando diverse tipologie di formato e utilizzo. Fu così che, nel 1909, si decise allora di adottare un modello universale: il 35 mm. Questo tipo di pellicola (in cui la cellulosa veniva sostituita dal triacetato di cellulosa, che permetteva una maggiore nitidezza e una minore infiammabilità) era costituita da quattro perforazioni per fotogramma. Un prototipo, che deve il proprio nome alle dimensioni del nastro, a cui, intorno agli anni ’30 del ‘900, vennero aggiunti poi colore e suono, creando ufficialmente il formato più comune e diffuso nel cinema di tutti i tempi.

pellicola

Una fase intermedia

Eppure, sebbene il 35 mm possa essere considerato il modello standard della riproduzione e della ripresa cinematografica, questo non toglie che, nel corso degli anni, si siano comunque affermate altre tipologie di formati. È questo il caso, ad esempio, del 70 mm (maggiormente definito) o del formato anamorfico (che presuppone un rapporto d’aspetto non a schermo intero).

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E questo discorso vale, d’altronde, anche per il materiale stesso che costituisce la pellicola. Sebbene, infatti, con gli anni il triacetato di cellulosa abbia sostituito la cellulosa base dei primi formati, questo è stato a sua volta, nei decenni, superato dal poliestere. Quest’ultimo, essendo ricoperto da uno strato di emulsione sensibile alla luce, ha reso le pellicole maggiormente resistenti, ridimensionandone notevolmente il possibile deterioramento.

E oggi?

Ma il discorso, ovviamente, non si ferma qui. A partire dal XX secolo, il modello dei filmati cinematografici è mutato ancora, sostituendo alle pellicole i formati digitali. È così che, già dai primi anni del nuovo millennio, si è iniziato a parlare di DCP. Il Digital Cinema Package è, infatti, la trascrizione di una sequenza di dati digitali che trasmettono i suoni e le immagini di una produzione cinematografica. Oggi è la principale forma di riproduzione filmica ma soprattutto tra i grandi cineasti contemporanei resiste una certa dose di lavoro su pellicola. Le motivazioni di tale resistenza risiedono sicuramente in un effetto nostalgia e principalmente da un gusto estetico preciso legato indissolubilmente alle qualità del formato in celluloide.

Tuttavia, come tutti i grandi cambiamenti della storia, anche questo non è nato certo per caso. Anzi, così come tante altre innovazioni, è stato il frutto di un percorso lungo e complesso, sicuramente graduale. Se la 35 mm nasceva in risposta alla crescente contraffazione e il formato in triacetato o cellulosa per evitare il deterioramento delle pellicole, il DCP si afferma come semplice evoluzione di nuove metodologie di produzione e post-produzione, accelerandone notevolmente le fasi. Come, ad esempio, l’introduzione delle macchine da presa con sensore ottico e il montaggio digitale.

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Le differenze tra la pellicola e il digitale

Tutti i vantaggi del digitale

Sicuramente, il passaggio dalla pellicola al digitale ha portato ad una serie di benefici, rivoluzionando, ancora una volta, la storia del cinema. Primi fra tutti, il DCP ha permesso di diminuire notevolmente i costi di produzione e di distribuzione. Le apparecchiature digitali, ad esempio, oltre a garantire una maggiore qualità dell’immagine, permettono una maggiore fluidità di movimento e comportano una minor spesa rispetto alle macchine da presa tradizionali. Inoltre, anche il lavoro di post-produzione risulta semplificato, permettendo una rapida rielaborazione del materiale.

Per quanto riguarda la praticità della distribuzione, invece, è stato proprio quest’ultimo fattore a permettere la definitiva “vittoria” del sistema digitale sulla pellicola tradizionale. Mentre, in origine, i costi per la distribuzione dei film erano tra i più elevati, il DCP ha oggi permesso il passaggio mediante hard disk o connessione a banda larga satellitare. Innovazioni che hanno cambiato per sempre il nostro modo di intendere il cinema.

Tra pro e contro

Ma, nonostante questo, non si possono totalmente escludere i vantaggi che aveva, per contro, la pellicola. Ad esempio, questa, rispetto al digitale, era in grado di rendere maggiormente i colori o le profondità di campo. Inoltre, limitava le possibili problematiche date dalla ripresa di movimenti veloci o dalla lettura delle immagini (talvolta, nei sistemi digitali, capita che si danneggino). Elementi, questi, che la faranno sempre un po’ rimpiangere ai nostalgici del cinema delle origini.

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