Nico: cosa si nascondeva dietro a quel volto angelico?

Le motivazioni per cui Nico è riuscita ad essere molto più dell'ipnotica voce dei Velvet Underground, molto più dell'incantevole musa di Andy Warhol, molto più di un viso angelico.

Nico lascimmiapensa.com
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Nico è stata molto più di una semplice musa ispiratrice, molto più di un viso incantevole.

Nico viene spesso ridotta al periodo trascorso nella caotica e fertile New York, al suo essere stata la voce temporanea dei Velvet Underground e al suo essere l’immacolata ispiratrice di Andy Warhol. Ma la vita post-banana album è stata da lei vissuta all’insegna della provocazione e del risoluto ripudio di tutti quei suoi aspetti che la gente aveva adorato e per cui la gente l’aveva idolatrata.

Donna dalla bellezza Giunonica e dalla pelle candida, quasi come se fosse stata baciata e benedetta dalla luna, dietro al suo carisma magnetico, Nico ha sempre celato l’oscurità del suo spirito indipendente e, al contempo, auto-distruttivo.

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Nico con Lou Reed

Prima di essere la sacerdotessa delle tenebre, prima di diventare un’icona, prima che di trasformarsi in una voce incompresa, Nico era semplicemente Christa Päffgen.

Nata nella cittadina tedesca di Colonia il 16 ottobre 1938, Nico venne al mondo con il nome di Christa Päffgen, poco prima che il mondo fosse devastato dalla tragedia della seconda guerra mondiale. E l’odore di morte che già aleggiava in ogni città del tempo sembrerà segnarla a vita. Saranno molte le interviste in cui dichiarerà che le bombe che cadono dal cielo, colpendo il paese d’origine, costituiscono i suoi primi ricordi. Ai nostri occhi, tale visione apocalittica della città natale in rovina si presenta quasi come una profezia di quelli che saranno il suo futuro e, nel complesso, la sua esistenza. Un’esistenza complicata, vissuta sotto il segno dell’autodistruzione, dell’eccesso e della misoginia.

In seguito alla morte del padre, anch’essa dovuta al dramma bellico, e alla fine della guerra, Christa e la madre abbandonarono la città, desiderose di raggiungere una Berlino distrutta. Fu proprio lì, nella capitale tedesca, che la ragazza dagli occhi di ghiaccio, poco più che quindicenne, iniziò a lavorare come modella. Una carriera intrapresa con un po’ di riluttanza, ma necessaria alla sopravvivenza. Una carriera che le farà girare il mondo, e conoscere personaggi del calibro di Federico Fellini –che, estasiato dalla bellezza della tedesca, la farà recitare nel capolavoro La dolce vita– e che la porterà a New York.

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Nonostante tutto, nonostante la vita di arte e divertimento, sarà proprio in questo periodo che Nico conoscerà ciò che di più oscuro esiste: le droghe. Con l’arrivo nella città statunitense, avvenuto negli anni Sessanta, la giovane dai lineamenti angelici svilupperà una distruttiva debolezza per le anfetamine. “Ce le facevano prendere così saremmo rimasti magri” dichiarò poi a James Young, chitarrista dei Styx.

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Oltre all’incontro con la tossicodipendenza, New York offrirà a Nico l’occasione di conoscere Andy Warhol, il quale la incorporò nella sua celebre Factory,  facendo di lei una delle sue muse e incoraggiandola a unirsi ai Velvet Underground nel 1966. La motivazione per cui l’artista Newyorkese decise di sistemarla come front woman del gruppo era la presunta mancanza di personalità di Lou Reed.

Durante la prima e più luminosa parte della sua carriera artistica, la sua celebrità fu, quindi, inevitabilmente e ingiustamente collegata a decisioni di uomini che erano rimasti incantati dalla sua femminilità.

“Odiava l’idea di essere bionda e bella” rivelò John Cale, collaboratore di lunga data della cantante, durante un’intervista avvenuta dopo la morte di Nico. “E odiava ancora di più l’idea di essere una donna. Ha sempre pensato che fosse stata la sua bellezza ad averla fatta soffrire“. Destinata a catturare gli sguardi di tutti i presenti, Nico fu una donna che venne messa su un piedistallo e che venne valorizzata unicamente per il suo aspetto: per i suoi occhi di ghiaccio, per i suoi lunghi capelli biondi, per i suoi zigomi e per i suoi lineamenti angelici. Fu questa maledizione a trasformarla in una dea abbattuta dall’eroina: per Nico, essere un’icona non era altro che un problema.

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L’inesorabile fine della collaborazione con i Velvet Underground non avrebbe tardato ad arrivare e sensazioni di alienazione ed isolamento avrebbero iniziato a segnare il secondo e travagliato arco della carriera artistica di Nico. Un periodo, questo, caratterizzato da melodie oscure, profonde e misteriose. All’apparenza maledetta, la musica della seconda Nico sarebbe stata meno influente per il futuro corso del rock e, quindi, più sottovalutata rispetto alla sua produzione iniziale, ma sarebbe stata infinitamente più ricca e interessante.

Raffigurata come un angelo caduto, come una bionda da copertina, la tedesca aveva solamente un obiettivo: distruggere dall’interno quell’aura di bellezza in cui era stata intrappolata. E, per distruggere quell’aura, per uscire da quel microcosmo definito dalla febbrile ricerca della perfezione, Nico decise di trovare un alleato: la maledizione dell’eroina, di cui fece uso per più di quindici anni. Sebbene l’avesse inevitabilmente distrutta, la dipendenza la riempiva di un benessere mai provato: cambiando il suo aspetto, rovinando i lineamenti perfetti del suo viso, scavando il suo corpo Giunonico, la droga la aiutava ad allontanarsi dalla bellezza che l’aveva resa celebre. Nico non cercava altro che la decadenza e la negazione. E, in questa decadenza, la cantante venne abbandonata da un mondo che le negò la vita e che le tolse la possibilità di una riabilitazione.

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Dall’essenza autodistruttiva, la musa di Warhol non deve essere perdonata né mistificata per la sua dipendenza.

Volenterosa di rovinare la propria immagine, prese la decisione di danneggiare anche le persone a lei più vicine. A partire dal figlio Ari, avuto da una relazione con Alain Delon, il quale non ha mai riconosciuto la paternità. Nonostante fosse ancora un bambino, il figlio accompagnava la madre alle feste distruttive di New York, dove fu esposto al fardello della droga. L’apice, però, si raggiunse solo quando Ari, diciannovenne, tornò a vivere con la madre, la quale lo presentò all’eroina, condividendo persino le siringhe con lui.

Nonostante Nico si fosse sacrificata a servizio dell’arte, la motivazione che la spinse a danneggiare sé stessa e la sua pura bellezza non era dovuta unicamente ad una motivazione nobile, non era dovuta unicamente a finalità artistiche. Certo, l’emancipazione era il suo principale obiettivo. Nonostante ciò, la sua disperata volontà a liberarsi dai fantasmi del suo passato non agiva attraverso uno spirito femminista. Soffrendo un appiattimento nella memoria popolare dell’epoca, la cantante ha regolarmente esibito una profonda e vergognosa misoginia. “Le donne sono velenose”, ha dichiarato. “Se non fossi così speciale, potrei odiarmi (a causa del mio essere donna, ndr)” e ancora “Non rimpiango niente di essere nata donna e non uomo”.

Nico trovò l’eterno appagamento il 18 luglio del 1988, durante una lunga vacanza sull’isola di Ibiza, in cui era andata a rifugiarsi con il figlio. Stava guidando la bicicletta verso i quartieri più periferici, alla ricerca di un po’ di marijuana, in quello che è stato definito come il giorno più caldo dell’anno. “Torno presto”: queste le ultime parole che disse, parole pronunciate ad Ari, il figlio avuto con Delon, prima di morire. La causa della morte fu emorragia cerebrale.

Personalità immersa nell’ombra del mistero, Nico è sempre stata una donna difficile da comprendere.

È sempre stato complesso riuscire a definire l’essenza delle motivazioni che la spinsero ad autodistruggersi. Bellezza androgina, la cantante è riuscita a rovesciare il gusto del sistema che l’ha annientata, trasformandosi in un modello per tutti coloro che hanno cercato la loro voce; e che, trovandola, hanno deciso di farla sentire al mondo. Il pubblico l’ha trasformata in un’icona, ma nessuno si era mai reso conto che Nico era un’iconoclasta.

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The Velvet Underground & Nico – All Tomorrow’s Parties, 1967

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