Slacker – La Generazione X secondo Richard Linklater

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Richard Linklater è, oltre ogni ragionevole dubbio, uno dei cineasti più peculiari e rappresentativi della sua generazione, quella che ha cominciato a fare capolino con le sue produzioni a cavallo tra il XX° e il XXI° secolo. In pochi sono riusciti a catturare l’infinita poesia che si cela dietro la vita di tutti i giorni come il regista texano ha fatto coi suoi film.

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Il regista Richard Linklater fa una breve apparizione all’inizio del film, nei panni del loquace passeggero di un taxi.

Dopo aver trascorso un periodo della sua giovinezza lavorando in una piattaforma petrolifera nel Golfo del Messico, a metà degli anni ’80 Linklater decide di inseguire il suo sogno di diventare un filmmaker.

Si iscrive così all’Austin Community College, dove studia cinematografia, e nel 1985 fonda assieme a Lee Daniel l’Austin Film Society, un circuito no-profit in cui vengono proiettati film indipendenti e sperimentali, che col tempo comincia anche a finanziare alcune piccole produzioni.

Per alcuni anni Linklater si esercita con la sua camera Super-8 dirigendo cortometraggi, nei quali affina le sue tecniche di ripresa; il primo lungometraggio arriva nel 1988, dal titolo It’s Impossible to Learn to Plow by Reading Books (E’ impossibile imparare ad arare leggendo libri), film dai dialoghi e dai movimenti di macchina minimali in cui lo stesso Linklater gira per il Paese incontrando vari personaggi e prendendo parte alle loro attività quotidiane. Il film non è mai stato rilasciato nel circuito mainstream o in home video: oggi è disponibile solamente come extra nel Blu-ray di Slacker della Criterion Collection.

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Un singolare soggetto sbucato dal nulla assilla un ignaro passante per cinque minuti consecutivi con le sue inverosimili teorie della cospirazione riguardanti il programma spaziale americano, l’effetto serra e la CIA.

Il regista inizia a farsi notare seriamente nel circuito indipendente con il suo secondo film, Slacker, girato nel 1989 con una Arriflex da 16 mm e un budget di soli $23.000, e distribuito nel 1991.

E’ bene fin da subito interrogarci su quanto si possa parlare di “film” e quanto invece di “esperimento”. Questo perché Slacker non possiede una struttura inquadrabile sotto qualsiasi aspetto che possa convenzionalmente definirsi “cinematografico”. E’ piuttosto da identificare come un’ultima “prova generale” di Linklater, in cui sonda i temi e lo stile di ripresa che lo accompagneranno per tutta la sua carriera.

E’ il classico film davanti al quale ogni buon vecchio spettatore occasionale, legato alla sua fedele struttura in tre atti, dopo 10 minuti inizierebbe a dire “Ma quando entra la trama?”.

Ambientato ad Austin, Texas, nell’arco temporale di una sola giornata (come accade spesso nei film del regista), Slacker appartiene alla numerosa serie film indipendenti prodotti negli anni ‘90 che si prepongono di fotografare la cosiddetta “Generazione X”; ovvero quella successiva al baby boom (l’incremento delle nascite che si verificò in seguito alla Seconda Guerra Mondiale), nata tra il 1960 e il 1980 all’insegna di un esponenziale calo demografico.

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Tale generazione, cresciuta all’ombra dei Baby boomers, è caratterizzata dal rifiuto dei valori della precedente e dalla radicata sfiducia per il futuro. I suoi giovani adulti vengono stereotipatamente identificati come apatici, cinici, indolenti; in ambito musicale si tratta degli anni dell’esplosione del grunge, padroneggiato dai Nirvana.

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Un’estrosa ragazza (interpretata da Teresa Taylor, batterista del gruppo punk rock “Butthole Surfers”) esibisce con fierezza il pap test di Madonna, ottenuto per vie non perfettamente chiare.

Impossibile non fare il paragone con Clerks di Kevin Smith uscito nel 1994, altro film simbolo del cinema indy anni ’90, con il quale Slacker condivide il contesto socioculturale e le tecniche di ripresa rozze e sperimentali.

Ma mentre Clerks si concentrava sulla quotidianità della classe lavoratrice (il titolo, per l’appunto, significa “commessi”), Slacker mostra lo stesso identico contesto ma visto dalla prospettiva dei fannulloni.

Il termine “slacker”, infatti, indica le persone che evitano spontaneamente ogni forma di attività lavorativa senza alcun valido motivo.

Slacker e’ un film tanto, tanto parlato. Linklater ha evidentemente moltissimo da dire, e decide di condurci nella sua personale visione dell’America, del mondo, dell’amore, dell’umanesimo, senza imporsi alcun paletto. Vomitando invece ogni sua digressione per mezzo di un centinaio di personaggi; figuranti che occupano lo schermo per una manciata di minuti ciascuno, giusto il tempo di incrociare un nuovo personaggio che centralizzerà a sua volta l’attenzione per breve tempo, e così via fino alla fine. Questa scelta si traduce tecnicamente nella quasi totale assenza di primi piani, campi e controcampi (proprio come in Clerks), preferendo invece girare gran parte dei lunghi dialoghi in piano sequenza.

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Un topo di biblioteca dalla conoscenza enciclopedica (e spesso di dubbia audenticità) su ogni dettaglio riguardante l’assassinio di John F. Kennedy.

I personaggi attraverso i quali il film si dirama sono principalmente Bohémiens, ovvero soggetti fautori di uno stile di vita anticonvenzionale, infarcito di sedicenti velleità pseudo-artistiche, conversazioni intellettualoidi e dipendenze di ogni tipo.

Il tutto evitando rigorosamente qualunque attività che possa definirsi socialmente concreta, preferendo di gran lunga la via dell’autocommiserazione. La loro quotidianità consiste nel girovagare per le strade di Austin senza una vera e propria meta, suonare musica in gruppi che probabilmente non sfonderanno mai, dilettarsi in attività ben poco gratificanti.

Nessuno dei dialoghi contenuti nel film rispecchia fedelmente le dinamiche della vita reale.

Innanzitutto perché più che di dialoghi, nella maggior parte dei casi di veri e propri monologhi si tratta; in più situazioni, se rapportate alla realtà, gli interlocutori sarebbero fortemente tentati di dire a coloro che parlano “BASTA, BASTA!!! CHIUDI QUELLA C***O DI BOCCA PER UN SECONDO!!!”. Ma è chiaramente uno schema che Linklater conosce e decide scientemente di infrangere: tutto quello che gli interessa è descrivere la Generazione X con la massima esaustività possibile, senza preoccuparsi di farlo così palesemente. Per affinare il lato artistico delle sue pellicole ci sarà tempo in seguito.

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“My thing is: a video image is much more powerful and useful than an actual event”.

E’ un film difficile sia da amare che da odiare: va semplicemente preso per quello che è.

Non possedendo una struttura, personaggi fissi o una linea narrativa di riferimento, il livello di coinvolgimento dei dialoghi è estremamente variabile: chiunque potrà trovarne più interessanti alcuni e meno altri. È però indubbio che, attraverso questa forma di accumulo creativo, Linklater riesca già a mettere le basi per quello che diventerà il suo linguaggio peculiare, colmo di dialoghi che lasciano a bocca aperta per la loro risonanza emotiva. Ne sono un esempio scene come quelle che vedono protagonisti un accumulatore compulsivo di schermi televisivi, un vecchio anarchico che fa amicizia con il suo giovane rapinatore, un cinico uomo appena tornato dal funerale del padre.

Egli espone, per bocca dei vari personaggi che si susseguono, gli argomenti più svariati, che spesso torneranno ampliati nei suoi film successivi: le sue fantasiose teorie del complotto (spesso volutamente farsesche), le sue idee sulla politica, sulla cultura pop, sulla disoccupazione, sul terrorismo, sul controllo dei media da parte del Governo; ma soprattutto dà voce alla sua inesauribile vena esistenzialista. Tutti temi che spesso trascendono il loro periodo di apparteneza, imponendosi invece come universali, e a volte profetici, anche a distanza di anni.

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Linklater pensa in termini filosofici e riversa su pellicola la sua concezione del mondo come un fiume in piena.

Mentre in seguito sarà in grado di amalgamare questi contenuti a splendide cornici, fatte di personaggi indimenticabili e storie di vita ordinaria dal valore emozionale incommensurabile, qui ci si deve accontentare di semplici suoi “appunti”, probabilmente accumulati nel corso degli anni e proposti seguendo il flusso di coscienza, senza alcuna forma di causalità.

Slacker è un piccolo, enorme film, girato con un dispendio di mezzi quasi inesistente ma che ha avuto un enorme impatto nel panorama del cinema indy anni ’90 ed è divenuto col tempo un cult movie; fino ad essere scelto nel 2012 per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso come storicamente, culturalmente ed esteticamente importante. Una delle prime incursioni di un regista che ha fatto della connessione emotiva viscerale con lo spettatore il suo marchio di fabbrica. Purtroppo non ha ricevuto gli stessi riconoscimenti alle nostre latitudini, data la distribuzione praticamente nulla che hanno avuto in Italia i primi film di Linklater.

Dove potete vederlo? Il film è disponibile su Youtube sottotitolato in italiano, all’indirizzo che vi riportiamo di seguito.

Buona visione!