Musica e film – Paura e delirio a Las Vegas

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Un viaggio psichedelico in un universo allucinante.

La prima cosa da capire di Paura e delirio a Las Vegas: è un film di Terry Gilliam. Chi conosce questo regista sa che i suoi film sono sempre anomali, convulsi, agitati, confusi. Un caos di suoni e immagini in cui la storia è spesso solo un pretesto per il viaggio. Nessun soggetto, quindi, poteva prestarsi meglio all’opera di questo regista, che il libro di Hunter S. Thompson del 1971. Il film segue le vicende di due personaggi, Raoul Duke e Dr. Gonzo, che si perdono a Las Vegas e dintorni sotto il costante effetto di droghe e allucinogeni.

La narrazione è frammentata, si perde in sogni e incubi per imitare la perdita di riferimenti temporali dovuta all’effetto delle droghe. Tutto, dai frenetici movimenti di camera ai dialoghi bofonchiati a mezza voce, concorre alla costruzione di questa atmosfera allucinata. Il film non intende inseguire una logica, ma anzi vuole demolire ogni logica.

Paura e delirio a Las Vegas 2

Allo stesso modo, la musica arriva a sprazzi, accompagnando la narrazione senza un filo conduttore.

Le canzoni confluiscono una nell’altra, in soluzione di continuità, come tanti echi. La musica scorre sempre in sottofondo, facendo da contrappunto ai deliri del protagonista e alle sue allucinazioni. In altri momenti giunge a volumi altissimi, diventa cacofonia, per renderci partecipi del senso di smarrimento che accompagna i due personaggi nel loro peregrinare.

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La sequenza portante, in questo senso, è quella in cui, in un flashback, compaiono i Jefferson Airplane (non proprio loro). Siamo nel 1965, nel famoso locale The Matrix di San Francisco, e il gruppo suona la famosa Somebody to Love mentre il protagonista fa la sua prima esperienza con l’LSD.

Si tratta tra l’altro di una inesattezza, perché la versione che sentiamo di Somebody to Love è del 1967, tratta dal famoso album Surrealistic Pillow. La musica, qui ha importanza solo in quanto “supporto” sonoro, e ciò che conta è l’esperienza delle sostanze stupefacenti. Tutto va in slow motion, mentre il protagonista viene approcciato dallo spacciatore che di lì a poco gli fornirà l’LSD.

Tra le altre musiche abbiamo un insieme abbastanza eterogeneo: da Janis Joplin a Frank Sinatra, dai Rolling Stones a Tom Jones,  passando per un altro classico dei Jefferson Airplane, la quasi obbligatoria White Rabbit. Significativamente, a chiudere il film dopo i titoli di cosa c’è la famosa Viva Las Vegas, celebre singolo di Elvis Presley del 1963. Ma attenzione: la versione che sentiamo qui è rifatta dai Dead Kennedys, padrini dell’hardcore punk californiano.

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Paura e delirio a Las vegas

Questa versione è inserita nel famoso album Fresh Fruit for Rotting Vegetables, caposaldo del genere. La versione in questione è del 1980: il sogno hippie è finito e fallito, e molti ex-fricchettoni sono diventati Reaganiani convinti. Ha perfettamente senso. Inoltre, non ci vuole un musicologo per sapere che il punk rock è, almeno sulla carta, l’antitesi precisa del freak rock.

Riassumendo, il film di Terry Gilliam vuole essere, a tempi alterni, un omaggio e una parodia della cultura hippie. Ne vuole rappresentare, in effetti, la rovina: una generazione intera soffocata dalle sostanze stupefacenti.

La droga rappresenta tanto la libertà quanto, necessariamente, la prigione. E la musica serve solo ad amplificarne l’effetto.