Playback: i Pink Floyd live a Pompei nel 1971 [VIDEO]

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Semplicemente, uno dei più bei concerti della storia: i Pink Floyd dal vivo tra le rovine di Pompei, nel 1971

I Pink Floyd non sono ancora entrati nella fase d’oro della loro carriera quando si esibiscono dal vivo (ma senza pubblico) a Pompei, tra le rovine dell’antica città romana distrutta dall’eruzione del Vesuvio quasi 1900 anni prima. L’album capolavoro The Dark Side of the Moon uscirà solo l’anno successivo e i quattro non sono ancora esattamente superstar mondiali.

Ragione in più per cui il concerto a Pompei, intervallato da varie sequenze in cui la band esplora le rovine (e cammina sul vulcano) si inserisce in un contesto di spasmodica sperimentazione. Un periodo iniziato con l’uscita dal gruppo di Syd Barrett, nel 1968, e continuato tra album prog atipici e tentativi multimediali in molteplici direzioni.

Lo sperimentalismo inclassificabile di Ummagumma (1969), le colonne sonore di diversi film tra cui quella di Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni (1970), un concept album suonato con un’orchestra, Atom Heart Mother (1970). E poi, questo: un film concerto che alterna le musiche psych-prog del periodo ad immagini affascinanti ed evocative delle antiche rovine.

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Un esperimento che si può definire tipicamente anni ’70, con una visione dell’arte a tutto tondo che unisca antico e moderno e collochi la musica nuova e futuristica del gruppo in una cornice classica e nobile. Un po’ il riassunto, in definitiva, di quello che i gruppi prog rock cercano di fare in quegli anni e dapprima a livello compositivo.

Il film viene girato in quattro giorni nell’ottobre del 1971 e viene completato con varie riprese effettuate in uno studio di Parigi. La tracklist è relativamente breve perché comprende solo otto tracce: Pompeii, Echoes (divisa in due parti), Careful with That Axe Eugene, A Saucerful of Secrets, One of These Days, Set the Controls for the Heart of the Sun e Mademoiselle Nobs.

Gli highlights sono sicuramente le canzoni di Meddle, in particolare l’ipnotica performance di One of These Days di notte; da notare inoltre l’assenza di canzoni dell’era Barrettiana, forse nello strenuo tentativo della band di affrancarsi finalmente da quei primi giorni di successo legati al geniale autore ormai perso in sé stesso.

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Possiamo ammirare non solo l’abilità strumentale del quartetto (di David Gilmour e Rick Wright in particolare) ma anche la loro decisione a provare di tutto, mettendosi in gioco nei contesti più diversi e prestando la loro musica a tutte le forme d’arte possibili. Un atteggiamento molto Beatlesiano, che fa il paio (per esempio) con altre venture come la loro improvvisazione durante l’allunaggio, nel 1969, su un’emittente inglese.

Quello che rimane oggi del concerto a Pompei è il documento eccezionale di un’intera epoca: non solo della crescita e della carriera di una band cult e nemmeno, se è per questo, delle infinite possibilità di un genere (il prog) che davvero in quegli anni abbatteva ogni confine. Ed è perciò, in definitiva, uno dei film (forse “il” film) per capire davvero, conoscere e amare i Pink Floyd.

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