Hunters: Recensione della seconda stagione della serie Amazon sui cacciatori di nazisti con Al Pacino

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La seconda stagione di Hunters sale a livelli molto ambiziosi e alza l’asticella

Torna Hunters, la serie con Al Pacino e prodotta da Jordan Peele che narra di un gruppo di “cacciatori”, appunto, dediti alla caccia ai nazisti fuggiti dalla Germania dopo la guerra. Attenzione perché in questa recensione faremo degli SPOILER, poiché è impossibile parlarne senza districarne bene le vicende. Quando avrete finito gli otto episodi, tornate qui.

Gli eventi della seconda stagione prendono una piega straordinaria fin da subito, quando scopriamo che Adolf Hitler è in realtà vivo e vegeto, assieme ad Eva Braun, in esilio in Argentina. Lì, segretamente, progetta il suo ritorno. I cacciatori nel frattempo hanno preso vie separate per via di un grave incidente avvenuto in Spagna e che ha coinvolto un bambino.

Le cose si complicano quando la prozia del protagonista, Chava (Jennifer Jason Leigh) si rifà viva e rivela di essere scampata ai campi di concentramento, indirizzando la ricerca di Jonah (Logan Lerman) verso il nascondiglio del Führer. Il gruppo si riunisce tra dissapori e rancori a malapena repressi, cercando di collaborare con i nuovi cacciatori nella ricerca di Hitler.

Nel frattempo assistiamo ad una serie di flashback che ci riportano a quello che ormai sappiamo essere non Meyer Offerman (Al Pacino) ma lo stesso aguzzino nazista dei campi di concentramento che lo tormentava, e che ha assunto la sua identità. Vediamo come, due anni prima della sua morte per mano di Jonah, ha agito per servire i suoi interessi mascherandoli da vendetta personale.

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Come sempre la serie preme molto su azione, momenti puramente comici ma anche drammatici e lasciando spazio ad alcune istanze LGBTQI, senza però perdere di vista (troppo) il dilemma di base: è giusto vendicarsi dei nazisti ed ucciderli senza ricorrere alla giustizia? In cosa ci si differenzierebbe da loro in tal proposito?

Un dilemma in realtà decennale che va ben oltre (purtroppo, e necessariamente) le aspirazioni di questa serie, per quanto David Weil e gli altri produttori cerchino di affrontarlo con maturità. E, quando infine Hitler viene catturato e processato, impossibile non ripensare all’annosa questione del processo ad Adolf Eichmann in Israele nel 1961, e alle famose parole di Hannah Arendt: “La banalità del male”.

In effetti Hunters sembra in diversi momenti indecisa se farsi seria e drammatica, prendendo di petto queste questioni e portando ad una reale riflessione, o se mantenere tutto su un piano più “trash” con sparatorie, inseguimenti, scazzottate e volgarità varie (intese come continue imprecazioni), più avventura che dramma.

Il culmine si raggiunge nel coraggioso ma rischioso episodio 7, che sembra Jojo Rabbit ma girato da Quentin Tarantino: un’esplosione di violenza che sfocia ampiamente nel gore e che sembra fare da contraltare all’episodio 8, l’ultimo, quello del processo a Hitler; che viene narrato su un piano puramente drammatico, serio e discorsivo.

L’episodio del processo è il più significativo: quando viene data la parola ad Hitler (Udo Kier), tutte le magagne degli Hunters vengono messe da parte e la narrazione si concentra sul comunicare come il messaggio del Führer, fatto di complottismo, demagogia e finta umiltà, funzionerebbe ancora oggi con i social e con un chiaro riferimento a personaggi “futuri” che potrebbero ripercorrere la sua strada.

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Un momento potente, che viene però dissolto dalla confusione dell’insieme degli episodi. In generale, un cast di personaggi non troppo ben gestito, con per esempio poche scene dedicate a un fenomenale Josh Radnor (il Ted di HIMYM) e fin troppe a Kate Mulveny, il cui personaggio è del tutto inutile.

Si fa fatica poi a capire come Joe (Louis Ozawa) possa essere passato dalla parte dei nazisti, mentre i piani di una machiavellica Eva Braun (Lena Olin) per prendere il potere dall’anziano consorte vanno in fumo. Nel mezzo mettiamoci anche la relazione tra Jonah e la fidanzatina inglese, ovviamente all’oscuro del suo “lavoro”, più mille altri spunti di trama soffocati a metà.

Tra tutti spicca assolutamente il personaggio di Travis (Greg Austin), un convinto assertore del white power e neo-nazista assolutamente verace: un villain fantastico, che cattura l’attenzione in ogni sua apparizione e che coinvolge quasi più di tutto il resto del cast messo insieme.

In definitiva, Hunters mostra anche nella sua seconda stagione grandi potenzialità ma cerca di fare troppe cose tutte insieme, non decidendosi su che tono seguire come serie e, ovviamente, limitata da un numero di episodi troppo breve. E a quanto pare non ci saranno sviluppi al riguardo perché la seconda stagione dovrebbe essere, nonostante un finale aperto, anche l’ultima.

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