The Witcher: Recensione della Seconda Stagione della serie Netflix

The Witcher
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La formula di The Witcher continua a convincere (purché non siate fan sfegatati dei romanzi)

Prosegue la saga di The Witcher, la serie basata sui romanzi fantasy di Andrzej Sapkowski già resi famosi dagli omonimi videogiochi sviluppati ad opera di CD Projekt Red. Di materiale ce n’è, dato che la saga originale conta due raccolte di racconti brevi e otto romanzi da cui trarre storie e vicende che potrebbero prolungare la serie Netflix per un buon numero di stagioni.

Mentre dalla prima alla seconda stagione gli eventi narrati iniziano a spostarsi verso i primi libri (con un piccolo recupero, nel primo episodio, di una delle storie brevi), seguiamo l’evoluzione dei protagonisti principali. Geralt di Rivia, Yennefer di Vengerberg e la principessa Cirilla di Cintra.

I tre vedono i loro destini intrecciati sullo sfondo di un gioco del fato che mette in moto forze più grandi di loro. La scoperta dell’immenso potere di Ciri e della sua complessità in quanto personaggio positivo e negativo a un tempo è uno dei temi portanti degli episodi. L’altro si risolve nella guerra mossa dal regno di Nilfgaard contro il nord e la persecuzione degli elfi: un genocidio che porta ad una conseguente ribellione.

La prima cosa da dire, e si nota subito, è che la serie inizia ad aggiungere e rivisitare contenuti in maniera piuttosto radicale rispetto ai libri. Cosa che sicuramente non verrà apprezzata dai fedelissimi della saga; ma consente d’atra parte lo svolgimento di otto episodi convincenti, appassionanti, a tratti divertenti e certamente ben realizzati.

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Chiariamoci: come nella sua prima stagione, The Witcher non rappresenta l’originalità né una rivoluzione nel mondo delle storie e delle serie fantasy. Tutto s’è già in qualche modo visto, un po’ ne Il Signore degli Anelli; un po’ nelle Cronache di Narnia (per chi ha letto i libri, soprattutto); un po’ ovviamente ne Il Trono di Spade.

Geralt, Yen e Ciri sfuggono alla guerra sullo sfondo della minaccia di una remota apocalisse

Questo non significa però che le peregrinazioni di Geralt (Henry Cavill) e compagni non possano convincere ed appassionare anche un pubblico ampio, persino chi non conosce i famosi videogiochi. La stagione potrebbe tradire giusto un paio di difetti. Uno: troppe cose tutte insieme. In otto episodi (non ventisei come le serie di una volta) ci si trova di fronte a mille avvenimenti ed è difficile tenere il passo.

Due: un paio di ellissi temporali che in un episodio portano convenientemente il tempo avanti per “sbrigarsi”; espediente già ampiamente criticato in un famoso episodio de Il Trono di Spade e da molti seriofili considerato ingiustificabile. Ma, detto questo, The Witcher continua a mostrare tutti gli elementi apprezzabili in una saga fantasy.

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Mostri terribili; animazioni convincenti e CGI state-of-the-art; battaglie furiose e coreografie di combattimento spettacolari. Ci viene svelata anche un bel po’ di lore per quanto riguarda l’origine e la natura del mondo di The Witcher, il rapporto che esso intrattiene con gli altri mondi (le “sfere”) e quale ruolo vi gioca la figura di Ciri.

Non mancano, chiaro, toni di una certa importanza nell’affrontare argomenti attuali come quello del razzismo, dell’emancipazione femminile e della lotta per una “giusta causa”. Più a fondo, The Witcher indaga sul confine labile tra le differenti concezioni di bene e male; e su fino a che punto in un mondo tanto brutale ci si possa spingere pur di raggiungere “la pace”, “la libertà” e altre utopie.

Riassumendo: se avete a cuore la fedeltà della serie rispetto ai romanzi di Sapkowski o ai videogiochi di CD Projekt Red, forse è meglio che non la guardiate. Ma per tutti gli altri The Witcher può sempre rivelarsi un ottimo prodotto, ben scritto e interessante a più riprese, che se gestito meglio (con più episodi per stagione, per esempio) potrebbe ancora diventare il fenomeno fantasy del decennio.