Freaks Out, Recensione del film di Gabriele Mainetti a Venezia 2021

La recensione dell'atteso nuovo film di Gabriele Mainetti

Freaks Out
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A sei anni di distanza da Lo chiamavano Jeeg Robot, Gabriele Mainetti torna dietro la macchina da presa con Freaks Out, uno dei film più attesi dell’intera stagione cinematografica italiana.

Presentato in anteprima alla 78ª Mostra internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Freaks Out è una fiaba nerissima e piena di fascino che affonda le dita nella Storia e nella cultura pop, creando uno spettacolo da cui è difficile distogliere lo sguardo.

Freaks out, la Trama

Israel (Giorgio Tirabassi) è il leader di una compagnia circense formata da freaks, dei “fenomeni da baraccone” che per l’uomo sono una vera e propria famiglia.

Fulvio (Claudio Santamaria) è l’uomo lupo e ha una forza inaudita. Mario (Giancarlo Martini) è un uomo dal cuore buono che ha capacità magnetiche. Cencio (Pietro Castellitto) sa comunicare con gli insetti. Matilde (Aurora Giovinazzo), infine, è una ragazzina “elettrica”.

La loro vita scorre più o meno normale finché la seconda guerra mondiale e la dominazione nazista non porta il gruppo a dividersi, a fronteggiare nuove sfide e, soprattutto, a guardarsi le spalle da Franz (Franz Rogowski), un visionario soldato tedesco che vuol mettere su uno squadrone di supereroi per far vincere la guerra alla Germania.

Freaks out, la Recensione

Un’opera post-moderna

Dalla diffusione delle prime immagini e del trailer di Freaks Out si è subito cercato di individuare quelle che erano le fonti di ispirazione di Gabriele Mainetti.

Da Alex De La Iglesia a Quentin Tarantino, sono stati molti i nomi di grandi autori che sono stati associati al cineasta romano.

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Ma se c’è una cosa che Gabriele Mainetti ci ha insegnato nel corso di questi sei anni è che il suo cinema è una forma d’arte in qualche modo post-moderna che recupera elementi della cultura pop e dell’immaginario collettivo per poi re-immaginarli e reinventarli in qualcosa di unico.

Ecco allora che guardando la storia di questi personaggi al limite del quadro si può avvertire l’eco della nostalgia felliniana, il revisionismo storico di Tarantino o la desaturazione di De La Iglesia.

Si possono contare richiami di Burtoniana memoria, o omaggi – più o meno consapevoli – al mondo dei supereroi à la X-Men. Ma tutti questi elementi non sono altro che tasselli, mattoni che Gabriele Mainetti – insieme a Nicola Guaglianone – impila l’uno sull’altro per creare un’opera del tutto nuova, unica, inaspettata.

Un’opera che parla a un’ampia fetta di pubblico proprio perché legata all’immaginario collettivo. Freaks Out è un film pieno di rimandi: non solo cinematografici, ma anche letterari, con delle strizzate d’occhio che fanno pensare alla produzione di H.G. Wells.

Opulento e ricco nell’estetica come nell’azione, Freaks Out è un piccolo gioiello che riesce a miscelare la pagina più nera del novecento occidentale con un ricorso alla speranza e alla magia.

Mentre le svastiche riempiono lo schermo, note più delicate si disperdono nell’aria, grazie anche all’ottima costruzione dei personaggi. Volti e maschere che rappresentano valori ed espressioni di un’umanità che vuole resistere alla guerra e, in questo senso, al male universalmente inteso.

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Il comic relief, lo spettatore e un mondo in fiamme

Una delle cose che colpisce in Freaks Out è la capacità di Mainetti di portare sullo schermo l’esempio perfetto del personaggio comic relief.

Quel tipo di personaggio che, tra le altre cose, ha il compito di alleggerire l’atmosfera con una battuta nei momenti più oscuri. Il comic relief è un tipo di personaggio insidioso perché, se non lo si calibra bene, si rischia di trasformarlo in una macchietta con battute a sproposito e cattivo gusto.

In Freaks Out invece Pietro Castellitto eredita il compito e la responsabilità con una grazia che lo rende sicuramente il personaggio più affascinante da seguire.

Complice anche una romanità sempre goliardica e simpatica, Pietro Castellitto aggiunge quel je ne sais quoi a un affresco umano davvero coinvolgente.

Aspetto, quest’ultimo, che Gabriele Mainetti ha dimostrato di non voler tralasciare. Senza correre il rischio di incappare in spoiler fastidiosi, basti dire che il regista non ha mai perso di vista il vero destinatario della sua opera, coinvolgendo il pubblico e facendolo sentire parte integrante della storia.

Una storia che fa della ucronia il suo tono più marcato e ripercorre eventi e fatti realmente accaduti con l’occhio smaliziato di chi ha guardato in faccia l’orrore e ha scelto di raccontarlo in un modo innovativo.