I 12 migliori film del 1970 da vedere [LISTA]

Il 1970 ha aperto le porte a quello che forse è considerabile il decennio più innovativo della storia del cinema. Ecco 12 titoli imperdibili.

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4) L’uccello dalle piume di cristallo – Dario Argento (1970)

L'uccello dalle piume di cristallo (1970)

Sam Dalmas (Tony Musante), scrittore italo-americano, si trova a Roma per trovare l’ispirazione e la quiete. Una volta compiuto il suo studio ornitologico, decide di tornare a New York con la fidanzata (Suzy Kendall). Ma una sera diviene testimone di una colluttazione di cui cade vittima una donna (Eva Renzi). Sam racconta tutto ciò che ha visto, ma un particolare sembra sfuggirgli…

L’uccello dalle piume di cristallo è il film d’esordio del maestro del brivido Dario Argento, che ha dichiarato la sua folle e visionaria poetica. Carpendo l’eredità di Mario Bava e le intuizioni dello spaghetti western, il regista usa abbondanti zoom e dettagli e particolari molto ravvicinati.

Chiaramente, però, Argento non si dimentica di marcare il proprio stile personale. Il regista mostra, infatti, la sua particolare predilezione nell’evocare la paura e la suspense, arrivando anche a sconvolgere maestri come Hitchcock. Egli impiega molte immagini oniriche desunte dai propri incubi, oltre a inserzioni psichedeliche (molto in voga negli anni ’60-’70), accendendo fortemente i colori.

Il musicista Ennio Morricone, infine, commenta le vicende con una colonna sonora da cardiopalma, dimostrando l’ecletticità del suo repertorio. Il compositore, infatti, era allora noto soprattutto per i film western, di cui commentava anche i momenti più tesi. Ma con Argento, egli ha saputo catturare un’altra dimensione della tensione.

5) I cannibali – Liliana Cavani (1970)

I cannibali

Un regime totalitario impone che i cadaveri dei ribelli siano lasciati a popolare le strade come monito per chiunque voglia opporsi. Toccarli significa incorrere nella pena di morte. Nonostante l’opposizione dei genitori, Antigone (Britt Ekland) è seriamente intenzionata a seppellire il cadavere del proprio fratello, trovando aiuto in un misterioso straniero (Pierre Clémenti)…

I cannibali è tratto dall’Antigone del tragediografo greco Sofocle, ma è ambientato in un prossimo futuro. La critica al fascismo come a ogni totalitarismo è il tema principale. Tuttavia, la scia di morti ricorda inevitabilmente anche il periodo di uscita dell’opera, ossia Sessantotto e anni di piombo.

Il film, oltre a rileggere in maniera originale la tragedia, contiene anche simbolismo cristiano, tipico della regista Liliana Cavani. Per esempio, notiamo il personaggio dello straniero ordinare del pesce, che porta via con del pane, o dei topi bianchi e una colomba all’interno del tabernacolo. Il tema della fede, come quello della libertà, è stato ampiamente portato in scena dalla regista.

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Stilisticamente, Cavani è attenta alle geometrie e alla composizione scenica e realizza anche interessanti accostamenti di colore. La colonna sonora è composta da Ennio Morricone e risulta interessante soprattutto nel violento interrogatorio: mentre Antigone è picchiata, Cavani usa stranianti e irruente panoramiche, contrastando con un tema musicale spensierato.

6) Necropolis – Franco Brocani (1970)

Necropolis (1970)

Essendo un esempio di anti-cinema, come testimonia la presenza di Carmelo Bene nel cast, Necropolis non ha una trama definita. Di impostazione teatrale, l’opera risulta un collage di monologhi di svariati personaggi. Il regista, Franco Brocani, ha voluto ricreare l’Inferno dantesco per condannare tutti crimini di cui si è macchiata l’umanità nel corso dei secoli.

Parsifae è il primo personaggio, condannata dagli dei perché rifiuta di amare e procreare; è obbligata a innamorarsi di un toro e a partorire il Minotauro. Il secondo episodio riguarda Frankenstein, nato per il desiderio dell’uomo di emulare la forza vivificante di Dio; venuto a sapere delle sue imperfezioni, il mostro inizia a uccidere l’umanità intera, a cominciare dai suoi creatori.

Dopo la breve parentesi del dialogo sul diavolo tra Carmelo Bene e l’attrice statunitense Viva, segue l’episodio su Attila e Montezuma. I due peccarono di avarizia e avidità, perché il primo bramava la conquista del mondo con la violenza, il secondo fu un sovrano dispotico e violento. L’ultimo episodio riguarda la nobile ungherese Erzsébet Báthory, nota come prolifica serial killer.

Lo stile di Brocani è fortemente contemplativo e anti-narrativo. Le scenografie variano da pareti mancanti a sfondi appena dipinti di blu o di rosso acceso. Infine, l’opera si avvale delle musiche sperimentali del contrabbassista inglese Gavin Bryars.

7) M*A*S*H – Robert Altman (1970)

M*A*S*H*

M*A*S*H*, ossia Mobile Army Surgical Hospital, è una commedia nera che segue le vicende di un gruppo di chirurghi in un ospedale militare statunitense da campo durante la guerra in Corea. Tra un’operazione e l’altra, tutti i soldati si divertono a schernirsi e combinarne di tutti i colori.

Dal film venne successivamente tratta un’omonima serie TV (1972-1983), formato che meglio si sposa con la struttura. Infatti, il film alterna operazioni, episodi buffi e avventure fuori dal campo. Nonostante ciò, la regia di Robert Altman riesce a non essere ripetitiva e a tenere viva l’attenzione dello spettatore. I campi lunghi, gli zoom, le panoramiche e le carrellate conferiscono al film un continuo dinamismo, oltre ad aiutare l’immersione nell’ambientazione.

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Essendo una satira contro la guerra, l’esercito e le loro dinamiche, M*A*S*H* si avvale di personaggi cinici e sarcastici. Appresa una debolezza di uno dei commilitoni, i più forti non si fanno remore ad approfittarsene. Insomma, si tratta di una commedia con cui si ride ma poi si è amareggiati per averlo fatto.

Il colore verde è chiaramente preponderante, desaturato a tal punto che i soldati appaiono quasi come confuse macchie verde sulle schermo. Infine, l’ultimo atto di stupore destato da M*A*S*H* è lo sfondamento della quarta parete nei titoli di coda.

8) Il ragazzo selvaggio – François Truffaut (1970)

Il ragazzo selvaggio

Ispirato a un fatto realmente accaduto, Il ragazzo selvaggio narra di uno giovane trovatello (Jean-Pierre Cargol) rinvenuto in una foresta. I suoi modi rozzi e animaleschi lo portano a essere rinchiuso nell’Istituto per Sordomuti, dove attira la curiosità del dottor Jean Itard (François Truffaut). Costui tenterà di abilitarlo ed educarlo, incontrando non poche difficoltà.

Il ragazzo selvaggio uscì qualche giorno dopo a un altro film di Truffaut, Non drammatizziamo… è solo questione di corna!. La riflessione principale del film, scaturita in primis dall’evento reale, riguarda la pedagogia speciale. Essa riguarda ogni tipo di intervento educativo nei confronti di individui in stato di disagio e il loro effettivo funzionamento.

Il paragone con la modernità, proposto anche da alcuni critici, è palese. Il trovatello, di nome Victor, rappresenta la gioventù bruciata della contestazione giovanile secondo l’immaginario degli adulti. Ma Truffaut crede nell’umanità intera, impersonando lui stesso il dottore che prende in cura il giovane. Il suo compito sarà di dimostrare che gli adulti giudicano con troppa superficialità.

Stilisticamente, il regista sfrutta gli spazi e gli specchi per una composizione artistica dell’immagine. Le lente e solenni carrellate e panoramiche servono a non disturbare l’analisi del dottore e a conferirle importanza sociale. Degne di nota alcune dissolvenze in nero a cerchio che incorniciano il brillante giovane soggetto.