Psycho: L’orrore interiore secondo Alfred Hitchcock

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Psycho (stasera alle 23 su Iris): La bella Marion Crane (Janet Leigh) e l’amante Sam Loomis (John Gavin) non si possono concedere di vivere la loro storia d’amore alla luce del sole. Questa condizione incalza la donna a rubare 40.000 dollari affidatigli dal suo principale; questo denaro permetterà ai due amanti di vivere la loro storia come meglio credono, senza dover ripiegare a incontri segreti durante la pausa pranzo.

Inseguita da un poliziotto ostinato, Marion inizia a dubitare del piano concepito precipitosamente, ma ormai il danno è fatto e, quando a causa di un violento temporale è costretta a fermarsi in un motel isolato nelle campagne, viene violentemente assassinata mentre si fa la doccia. L’assassina pare essere la madre dello strano gestore dell’albergo, Norman Bates (Anthony Perkins), la quale vuole proteggere il proprio figlio dalle peccaminose sconosciute che bussano alla sua porta. Scioccato dall’accaduto, Bates distrugge e nasconde tutte le prove e il cadavere di Marion finisce con l’automobile e l’intero bottino nella palude.

Sam si mette alla ricerca della donna scomparsa assieme alla sorella di Marion, Lila (Vera Miles), e al detective privato Arbogast (Martin Balsam), scoprendo l’orribile verità al Bates Motel.

Psycho è sicuramente tra i film più coraggiosi del grande Hitchcock. Non solo per il famosissimo primo piano di una stanza da bagno osservata attraverso un foro nel muro, che per gli anni Cinquanta risultava molto spinta, ma anche grazie ai numerosi colpi sferrati alle aspettative dello spettatore, uno tra tutti la morte della protagonista ad un terzo del film, che capovolge tutta la storia. Le parti che crediamo significative all’interno della trama, come i soldi rubati da Marion, si rivelano solo diversivi con l’unico obiettivo di creare il dubbio nello spettatore con ogni possibile mezzo, soprattutto visivo. Psycho diventa un’opera quasi sperimentale grazie alla potenza delle proprie immagini suggestive.

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Come non citare la sequenza più famosa che ancora oggi riesce a sconvolgere lo spettatore: quei 45 secondi dell’omicidio nella doccia, girata grazie a 70 diversi collocamenti della macchina da presa. I violenti squarci tra un fotogramma e l’altro, accompagnati in sottofondo dalla musica dissonante di Herrmann, riescono a rendere fisicamente percepibili le coltellate inferte al corpo della povera vittima. La sequenza in questione risultò così scioccante che per quasi tutto il resto del film il regista poté abbandonare la rappresentazione di sequenze violente. Hitchcock aveva già guidato il pubblico dove voleva che arrivasse.

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Tra le altre cose, va evidenziata anche l’abilità del regista e del suo cameraman, John L. Russel, nell’architettare costantemente nuove scusanti sia a livello formale che stilistico, per non mostrare il volto della madre di Norman fino al termine del film. Altra sequenza emblematica è l’omicidio di Arbogast in casa Bates: la videocamera inganna lo spettatore facendogli credere che sia possibile inquadrare l’atto sulle scale solamente dall’inconsueta prospettiva a volo d’uccello. Persino a livello narrativo si potrebbe definire Psycho un film sperimentale: l’intera trama prende forma attorno ai dialoghi, come nelle maggiori produzioni televisive. Quello tra Marion e Norman, che delinea un’affinità intima tra i due, è di vitale importanza. In questa sequenza lo spettatore viene a sapere che Norman ha la passione di imbalsamare gli animali, silenziosi e indeteriorabili testimoni degli avvenimenti.

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Il film intero brulica di richiami alla tematica dell’osservare e dell’essere osservati. Ricorre ovunque l’occhio voyeuristico della macchina da presa: dallo spioncino dal quale l’inimitabile e alienato Norman guarda la vittima che si spoglia, allo scarico della doccia in cui scompare il sangue di Marion, nel suo occhio spalancato, fino al teschio sorridente che ci fissa in una delle inquadrature finali. Per concludere, c’è l’inconfondibile discorso finale di Norman: “Probabilmente ora mi stanno sorvegliando. Bene, lasciamoli fare. Farò veder loro che specie di persona sono. Non scaccerò nemmeno quella mosca. Spero che mi stiano osservando. Così vedranno. Vedranno e sapranno.”

Queste parole non sono messe casualmente in bocca al protagonista, ma esprimono una personale presa di posizione da parte del regista. Perché Psycho non è solo un film di paura psicanalitico, ma bensì il manifesto artistico di un maestro del cinema all’apice della sua creatività.

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