A proposito di Davis – La musica tra disperazione e rinascita

Davis
Condividi l'articolo

A proposito di Davis è un film dei fratelli Coen del 2013.

Rappresenta una genuina riconversione dopo l’omaggio al western de Il grinta. Prosegue la riflessione sull’uomo tanto cara ai due registi, sulle sue ambizioni e le sue cadute. Il protagonista è una persona la cui strada è incerta e i cui valori si perdono sullo sfondo della post-modernità. La crisi valoriale e l’incertezza è la matrice da cui molti dei caratteri dei Coen nascono, e Llewyn Davis non fa eccezione.

A differenza però dei protagonisti di film quali Fargo o L’uomo che non c’era, quest’ultimo è privo anche di quella tensione vitalistica che, nel bene e nel male, muoveva gli intenti di questi personaggi. Così A proposito di Davis rimane sempre sull’orlo della disperazione, ma in maniera composta. La depressione del protagonista non scoppia mai nel dramma più intenso e violento, benché ci siano tutti i presupposti perché ciò accada.

Ciò si estende alla macro-forma narrativa.

Il film si conclude esattamente come è iniziato, proiettando le vicende di Llewin Davis in una prospettiva ciclica, di eterno ritorno squisitamente nietzschiano. Duplice è la natura di questo tempo incastrato nella ripetizione perpetua. Da un lato soffoca la già debole volontà del protagonista, che nel ripetersi delle stesse vicende perde ancor di più il suo scopo. D’altro canto l’uomo, conscio di questa ricorsività di ogni tipo di gioia e dolore, può decidere di consegnare la propria volontà all’eternità del tempo.

Davis

In Così parlo Zarathustra, il profeta dell’Oltreuomo racconta di una sua visione, in cui un pastore riesce a liberarsi dal serpente che si morde la coda, simbolo del tempo circolare, mordendogli la testa. Allo stesso modo Davis, pur immutato nella forma e nella sostanza, nel finale del film compie un gesto che lo libera di una parte del suo velenoso passato. In un film sulla musica questo risvolto narrativo non può che essere affidato a lei.

LEGGI ANCHE:  Scarface, Antoine Fuqua di nuovo in trattative

“Se non è mai stata nuova e non invecchia mai allora è una canzone folk.”

Llewyn Davis, alter ego fittizio di Dave Van Ronk, è uno dei tanti cantanti che sul volgere degli anni ’60 cerca di sfondare nel panorama folk. Tanti errori e rimpianti, alcune serate, pochi soldi e occasioni, e qualche scazzottata. Davis fa della musica una missione profetica, quasi religiosa, e non è disposto a scendere a compromessi con la vita, anche quando questa gli porta via il suo compagno di duo. Il film quindi in realtà racconta ben poco della storia di Davis, e si concentra sulle difficoltà che incontra nel rilanciare la sua carriera da solista.

Leggi anche: L’uomo che non c’era: il film dimenticato dei Coen – Musica e film

L’assenza del compagno, nonostante l’apparenza, è una ferita profonda per Davis. Quando si concede ad una performance sulle note della bellissima Fare Thee Well si scaglia contro la donna che lo ospita, perché aveva intonato la parte affidata alla voce del suo defunto partner. L’unico momento chiave del film in cui il dolore si fa davvero straziante e manifesto.

LEGGI ANCHE:  Le 10 migliori interpretazioni di Woody Harrelson
https://open.spotify.com/track/0YOOXnCJihgyluizqhAcrz?si=6cpY56ivSGuYMtQ-yD0EqA

Tra un’inutile audizione e una partecipazione ad una divertentissima rivisitazione di Please Mr.Kennedy, il film procede immobile verso la conclusione in cui si ripiega su se stesso. Non c’è un vero e proprio sviluppo narrativo, ne tantomeno dei personaggi, tutt’altro che dinamici.

Sempre vecchio, mai nuovo.

Come il tempo eterno in cui siamo incastrati. Davis però riesce a tagliare la testa del serpente, nella sua ultima esibizione. Tornando di nuovo nel Gaslight Cafe, ascoltiamo una nuova versione di Fare Thee Well estremamente ispirata e commovente. Nel ritornello il cantante spinge sul registro acuto per intonare la voce del vecchio compagno. Come per ricongiungersi con lui e con la malinconia dovuta alla sua assenza, e come per volerlo evocare al suo fianco sul palco, Davis riesce a scacciare vecchi fantasmi e porsi su una nuova soglia di questa eternità sempre uguale a se stessa.

Questo struggente colpo di scena è il canto del cigno del protagonista, che infatti lascia poco dopo la scena ad un giovane e ancora sconosciuto Bob Dylan. Quest’addio così struggente suona allora come una promessa di bellezza, di possibilità oltre quel tempo già scritto da cui sembra impossibile uscire. Davis consegna la sua volontà al futuro, superando i suoi vincoli e ponendosi in una prospettiva più alta, rappresentata simbolicamente, se si vuole, dal registro acuto: una prospettiva in cui riesce a guardarsi indietro, e poi avanti, con rinnovata consapevolezza.

Continuate a seguirci sulla nostra pagina Facebook ufficiale, La Scimmia sente, la Scimmia fa.