Intervista a Matteo Rovere, regista de Il Primo Re

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Intervista Matteo Rovere

Con grande piacere la Scimmia ha potuto rivolgere qualche domanda a Matteo Rovere, regista del momento per il suo Il Primo Re che sta riscuotendo un grande successo. Tra grandi effetti speciali, ottime interpretazioni e un film pensato in grande sotto l’abile gestione di Rovere, le domande da porre sono molte; soprattutto per un genere di film che ha quasi dell’inedito in Italia. Noi gliene abbiamo chieste alcune, eccole per voi.

Innanzitutto, una domanda di rito: da dove nasce l’idea di rivisitare un grande mito della storia italiana e della storia europea come quello di Romolo e Remo? Tutto questo realizzando uno dei progetti più ambiziosi nel panorama cinematografico italiano.

“Mi interessava riprendere il mito fondativo e rivisitarlo alla luce della nostra contemporaneità. La leggenda di Romolo e Remo ha qualcosa di molto vicino a noi. Ci parla continuamente, rimandando a simboli e significati da interpretare. Ci siamo interrogati a lungo su quello che avremmo voluto esplorare, partendo dal mito, ed è stato su un dilemma centrale che ci siamo concentrati: è amore o hybris quella che ci fa pensare di poter essere noi gli artifici del nostro destino? È più divino chi si ribella al Dio per difendere l’amore, o il Dio che chiede di sacrificare quell’amore?”

Il lavoro dietro la realizzazione del film è evidentemente complesso. Puoi parlarci del percorso partendo dalla stesura della sceneggiatura fino alla messa in scena. Qual è stato l’apporto di studiosi ed esperti sul film?

“Sono sempre partito da una base storica per tutte le scelte artistiche prese. Questo mi ha consentito di affidarmi al lavoro attento e minuzioso di ciascun reparto, la cui ricerca è stata importante per la riuscita del film (sui materiali di scena, gli ambienti, le armi e le costruzioni fedeli il più possibile alle ricostruzioni archeologiche dell’epoca). Ci siamo anche avvalsi dell’aiuto preziosissimo di un gruppo di semiologi dell’Università La Sapienza per la lingua. “

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Intervista Matteo Rovere

Il film è stato molto apprezzato per il forte senso di realismo che trasmette. Privo di qualsiasi forma di mistificazione e spettacolarizzazione, rifiutando i cliché di un certo cinema di genere. Ciò ti pone sulla scia di registi come Gibson e Iñárritu. Da dove credi venga questo desiderio di produrre film storici fortemente realistici e crudi, sia dal punto di vista tecnico che della messa in scena?

“L’idea che avevo era di una regia che seguisse, nell’impostazione, un film realistico, analogico, fatto di sequenze riprese con luce naturale ma anche tecnicamente complesse. Non posso dire che questo valga per tutti i film, ma mi auguro che Il Primo Re possa risvegliare curiosità e interesse nei confronti della classicità e della storia antica. “

Ciò ha richiesto un grande sforzo da parte di tutta la troupe e il cast. Quali sono stati i problemi, se ce ne sono stati, in cui siete incappati durante la lavorazione? E com’è stato lavorare con un grande cast, in cui campeggia su tutti un nome come quello di Alessandro Borghi?

“I problemi, o meglio, le complicazioni sono state tante: dal piano di lavorazione agli orari sul set, dalla prostetica ai tempi di convocazione degli attori per il trucco, dalla difficoltà di girare su terreni paludosi e impervi alla lunga preparazione delle scene dei combattimenti. Sono serviti l’impegno, la serietà e la disponibilità di tutti. Alessandro, insieme a tutti gli altri attori, si sono dimostrati preziosi, senza di loro – senza il loro spirito di abnegazione – questo film sarebbe stato diverso. “

Abbiamo dato uno sguardo al lavoro svolto da EDI nel realizzare gli effetti speciali. Un CGI di questo livello per un film italiano possiamo immaginare sia motivo di grande orgoglio, ma la scelta di utilizzarlo nelle scene di combattimento per ricreare ferite e armi è una scelta artistica o una questione più pragmatica?

“Gli effetti sono stati ben studiati e calibrati al massimo (le armi, le ferite, il fuoco, l’esondazione). Non avrei potuto farne a meno, anche se mi sarebbe piaciuto ridurre l’utilizzo dei VFX al minimo.”

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Intervista Matteo Rovere

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Intervista Matteo Rovere

Hai scelto di ribaltare, in un certo senso, la prospettiva sul film, ponendo in primo piano Remo, lo sconfitto, su Romolo che ne esce vincitore. Le dinamiche di potere legate anche ad un aspetto divino ruotano molto attorno ai fratelli. Da dove è nata questa idea?

“La nascita di Roma viene considerata storicamente come l’evento con cui il potere raggiunge un ordine definito, che viene dal rispetto delle leggi divine. Il mito ce lo tramanda usando il racconto allegorico di Romolo contro Remo, una lotta tra fratelli in cui la forza e il valore non sono nulla senza la devozione religiosa e la sottomissione alla volontà degli Dèi. Mi sono spinto in questa direzione, provando ad analizzare il conflitto interiore di chi ama suo fratello più di qualsiasi altra cosa al mondo ma viene sconfitto.”

Negli ultimi anni si stanno affacciando sulla scena italiana giovani e ambiziosi registi che dimostrano il desiderio di riscattare il cinema italiano, tagliando i ponti con una certa tradizione e tu sei sicuramente tra questi registi. Credi sia giusto parlare di un nuovo avvenire per il cinema italiano?

“Credo si respiri un’aria nuova. L’industria italiana produce film che possono guardare fuori dai propri confini, e verso cui il mercato internazionale guarda con maggiore interesse. Questo è un buon segno, ci fa capire che possiamo spingerci un po’ in là forzando quei paletti che ci siamo imposti, nel tentativo di dimostrare che il nostro cinema può uscire da quella gabbia in cui ci sentiamo spesso intrappolati, ma dalla quale è possibile uscire.”

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