Indiana Jones va in pensione e una donna potrebbe prendere il suo posto

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Per Indiana Jones potrebbe giungere il momento di assumere “a different form”: Steven Spielberg ha ufficialmente dichiarato che in un prossimo capitolo della saga l’archeologo più famoso della storia del cinema – nonché il meno professionale della storia dell’archeologia – potrebbe subire un cambio di genere e diventare donna.

Sempre Spielberg a marzo aveva confermato l’inizio dei lavori per il quinto film di Indiana Jones, mentre oggi aggiunge di essere “pretty sure” sull’imminente canto del cigno di Harrison Ford: conclusa questa produzione, l’Indy cui siamo tutti affezionati se ne andrà in pensione, ma non c’è dubbio che il franchise continuerà anche senza il suo storico volto.
E a quanto pare non sarà Shia LaBeouf a succedergli, come si poteva intendere dal finale di Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo. Al momento non è stato neanche chiarito se il suo personaggio verrà riconfermato nel capitolo annunciato: al di là della partecipazione di Harrison Ford, gli unici dati diffusi riguardano il 2019 per l’inizio delle riprese nel Regno Unito e il 2020 per la release.

Risultati immagini per shia labeouf indiana jones “We’d have to change the name from Jones to Joan. And there would be nothing wrong with that”, fa spallucce Steven Spielberg nel parlare della possibile conversione pink del protagonista post Harrison Ford. Un’Indiana Joan raccoglierebbe il fedora e partirebbe alla volta di nuove avventure: è una prospettiva che non disturba e per cui fare spallucce. Sempre che non ci aspettino ancora alieni nelle prossime vicende. E sempre che la scelta al femminile non sia stata dettata da condizioni esterne all’economia della storia.

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Nel giugno 2017 era infatti scattata una polemica sui personaggi femminili nelle produzioni di Steven Spielberg: Elizabeth Banks (Hunger Games, Power Rangers) aveva alzato il polverone sul palco dei Crystal Awards, quando aveva asserito sconcertata “I went to Indiana Jones and Jaws and every movie Steven Spielberg ever made, and by the way, he’s never made a movie with a female lead. Sorry, Steven. I don’t mean to call your ass out, but it’s true”.
L’uscita aveva ricevuto tante critiche negative – prima fra tutte: ma l’hai visto Il colore viola? – che nel giro di una settimana la Banks era stata costretta a scusarsi pubblicamente. Tuttavia, il sasso era stato scagliato nelle fauci dell’opinione pubblica e l’opinione pubblica non l’avrebbe più digerito: l’intera filmografia di Steven Spielberg, per quanto vasta e variegata, scarseggia sensibilmente di protagoniste femminili. Si può dire che prima di The Post solo Il colore viola presupponesse un’eroina centrale.
Poi è arrivato ottobre 2017: il caso Weinstein ha gettato una nuova luce su tutto l’apparato hollywoodiano e sul ruolo delle donne nel sistema cinematografico più famoso del mondo. A gennaio 2018 le attrici hanno sfilato in nero sui tappeti dei Golden Globes e a febbraio le nomination agli Oscar hanno escluso Steven Spielberg dalla corsa alla migliore regia: l’Academy è stata accusata di avergli sottratto la sedia da sotto il culo per far accomodare nelle candidature la quota black di Jordan Peele o la quota rosa di Greta Gerwig, entrambi meno meritevoli, entrambi più pollitically correct.

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Immagine correlata Queste sono tutte le condizioni esterne all’economia della storia che si auspica non intervengano nella scelta di Indiana Joan. Indiana Jones è un vincente a cui nulla sembra mancare, e un cambiamento della sua identità dovrebbe essere dettato solo da un potenziale creativo originale individuato da un consapevole ripensamento sul personaggio: ad esempio, tenuto conto della conflittualità fra donna e serpente sin da tempi biblici, sarebbe interessante assistere allo sviluppo della più famosa fobia dell’archeologo più famoso della storia del cinema.

Il pubblico intero confida nella saggezza e nell’inimitabile professionalità di Steven Spielberg: Indiana Jones non deve fare la fine dei Ghostbusters.