Il filo nascosto – La recensione dell’ultimo film di P.T. Anderson

Il filo nascosto
Condividi l'articolo

Difficile esprime pienamente un giudizio profondo ed oggettivo nei confronti de Il filo nascosto.

Ultima opera a collocarsi nella filmografia di Paul Thomas Anderson, da considerare sicuramente uno dei registi più talentuosi, viscerali ed incisivi della sua generazione. Il filo nascosto è una pellicola dotata di un fascino disarmante, che ammalia lo spettatore; il quale ipnotizzato dal suo carattere magnetico non potrà che perdersi nella magia delle immagini che sullo schermo prendono vita, dinanzi ai suoi occhi.

Uno dei tratti distinti che risaltano da subito, all’orecchio, è la presenza quasi costante della colonna sonora. Melodie che catturano la percezione di chi guarda e ascolta, trascinandoti in un mondo fantastico. Potrebbe sembrare ridondante tale affermazione, si potrebbe obiettare che questo è il fascino più puro ed ultimo del cinema stesso. Eppure con il suo talento, Anderson riesce ad operare una suggestione profonda che cattura totalmente l’attenzione dello spettatore, lasciandolo impossibilitato nel distogliere lo sguardo e la propria attenzione dallo schermo. Ipnotizzato, appunto, fino alla perdita di qualsiasi cognizione di una dimensione temporale e spaziale.

Il filo nascosto

La colonna sonora gioca un ruolo determinato ai fini ultimi dell’effettistica della pellicola stessa.

Composta da Johnny Greenwood, assiduo collaboratore di Anderson, per il quale ha composto le musiche anche dei suoi lavori precedenti, tra i quali vanno citati Il petroliere, The master e Vizio di Forma, la musica incide notevolmente sul carattere ammaliante del film. Operando una grande fascinazione sensoriale, fornendo all’opera un ritmo incalzante e vorticoso che accompagna i virtuosistici movimenti di macchina. La natura de Il filo nascosto pare essere, a tratti, quella di un musical privo della componente del canto. In cui, in ultimo, la musica è parte integrante.

LEGGI ANCHE:  Jonny Greenwood - Dai Radiohead agli Oscar

Anderson si dimostra cineasta esperto, in grado di padroneggiare il mezzo filmico nella sua interezza e in tutte le sue componenti.

Da un punto di vista prettamente registico, Il filo nascosto si discosta in parte dalle opere precedenti del regista. Segnate tutte da un uso più viscerale della macchina da presa. La filmografia di Anderson si caratterizza per uno stile piuttosto elegante, si. Tuttavia l’opera ultima si contraddistingue per un tono decisamente più aristocratico. L’uso della cinepresa, e i suoi movimenti, si fanno ancorra più eleganti e raffinati. In perfetta simmetria con il contesto narrativo messo in scena.

Il filo nascosto

Tratto da una sceneggiatura originale dello stesso Anderson, il racconto ruota attorno alla persona di Reynolds Woodcock. Rinomato stilista inglese, affermatosi nell’industria della moda nella Londra degli anni ’50.  E’, dunque, un’ambientazione elegante ed elitaria quella in cui si svolge la vicenda. In quest’ottica la scelta registica pare propriamente funzionale ai fini espressivi. Onde enfatizzare il valore immaginale e narrativo della pellicola tutta. 

Tratto caratteristico del cinema di Anderson è la messa in scena di una personalità istrionica e dominante.

La quale si può ritrovare anche ne Il filo nascosto. Gli uomini a cui il regista dà corpo e vita sono figure di uomini caratterizzati da una natura che tende al divismo autoreferenziale. Sono uomini corrosi dal proprio potere, tanto da risultare megalomani e indirizzati ad un senso di onnipotenza egocentrica, ma si lasciano tuttavia corrompere e corrodere da loro personale delirio. Una spirale discendente che non li conduce alla rovina, ma ad un isolamento emotivo, come nel caso de Il petroliere. Figure di misantropi, che ciò nonostante si circondando di altre personalità loro succubi e delle quali sono succubi; segnate da un cinico opportunismo di vita, che più che vita si fa sopravvivenza.

LEGGI ANCHE:  Daniel Day-Lewis lascia la carriera di attore

Il filo nascosto

E’ il caso di Reyonold Woodcock, il quale con il suo fascino e il suo desiderio attrae di volta in volta una compagna diversa, offuscata dall’amore per lui, ma della quale presto si stufa a causa dei suoi stessi capricci. Tuttavia, la compagna di turno, Alma, nutrirà un amore così ossessivo e possessivo nei suoi confronti da decidere di indurlo ad un malessere tale da raggiungere quasi la soglia della morte, pur di mantenere costante quel sentimento, quel bisogno reciproco. 

Dunque, quelli andersoniani sono personaggi per cui lo spettatore non può che provare disprezzo e fastidio.

Personaggi profondamente negativi, ma dotati di una presenza scenica istrionica. Forniti di un carisma potente per il quale si fanno dominatori della scena, in grado di controllare lo sguardo dello spettatore manipolandolo alla loro attenzione. Personaggi che entrano di prepotenza nell’immaginario filmico, lasciando un segno indelebile del loro passaggio nella mente collettiva del pubblico.

In tal senso, Anderson riesce a compiere un’operazione di riflessione nuova sul mezzo cinematografico, le sue prerogative e le sue potenzialità. Inducendo lo stesso spettatore, più conscio ed esperto ad operare la medesima riflessione attraverso un’autoriflessione. Un cinema sempre uguale e quanto mai nuovo, in grado di trasmettere emozioni profonde ed intense. Che riesce ad operare una suggestione ed una fascinazione estatica della pellicola sul pubblico.  Â