L’Attacco dei Giganti: analisi dell’anime di Isayama

Un'analisi approfondita su L'Attacco dei Giganti, l'anime che ha segnato la storia dell'animazione giapponese. A cura di Gianmaria Atzei.

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Nel momento in cui non potrà più soddisfare questa condizione, dopo che Eren si allontana per attuare il suo piano, Mikasa soffre come se avesse perso il suo unico scopo e, di conseguenza, la vita stessa. Dall’altro lato troviamo in Eren un amore altrettanto forte per Mikasa, seppur tenuto molto celato rispetto l’amica.

Del tragico destino di Eren parleremo più avanti, ma è bene sottolineare quanta pena abbia provato nel doversi allontanare da lei e nel doverle rivolgere quelle parole false per ferirla a morte. Il loro è di fatto un amore impossibile da raggiungere, che brucia di una fiamma talmente intensa da negare la costruzione duratura di un legame. Il tragico epilogo della loro storia ricorda quasi quello del folle amore di Salomè per Giovanni Battista, tanto da portare la figlia di Erode a chiedere la testa del santo pur di stare vicino al suo amato.

Cosi come Salome vede in apparizione la testa sanguinante di Giovanni davanti a lei, Mikasa vive gli ultimi momenti di intimità con Eren in un lungo sogno (o forse nella realtà creata da Ymir) che rimane l’unica soddisfazione di cui avere ricordo.

mikasa

Ironicamente sarà la stessa Mikasa a essere costretta nel ruolo di assassina del suo amato, a tradire il suo amore per fermare il folle piano di Eren. Rimarrà quindi sola con unicamente la sua testa in mano, esattamente come nell’iconografia di Salome. Quello che resta a entrambe è una vita senza più possibilità di amare.

Isayama tratteggia una tragedia amorosa tra le più toccanti scritte nel panorama del fumetto giapponese. Accomunabile per morbosità, anche maggiore in questo caso, è l’amore che lega Ymir al re Fritz. La progenitrice dei giganti ama Fritz nonostante tutti i maltrattamenti e la scarsa attenzione che le viene dedicata.

Probabilmente per via di un’infanzia senza legami e amore, Ymir trova in Fritz una figura a cui dedicarsi completamente per sentirsi infine realizzata; l’importanza del minuscolo gesto di interesse che il re attua verso Ymir ha, per lei che non conosceva altro che la solitudine, una valenza gigantesca. Per mille anni la sua fedeltà non ha mai ceduto, continuando a seguire le ultime indicazioni che l’amato re ha dato sul destino dell’isola Paradis.

Sarà unicamente il gesto straziante, obbligato, di Mikasa a mostrare a Ymir che si possa andare oltre al vincolo autoimposto dell’amore; e che forse, l’amore, sta proprio nel sacrificarlo in virtù di un bene maggiore.

Ymir vede in Mikasa, una persona che come lei ha amato più di quanto è possibile amare una persona , recidere quel legame che la legava a Eren: in questo momento, dopo aver compreso la difficoltà di tale gesto, decide di sciogliere il millenario legame con re Fritz, permettendo quindi la salvezza dell’umanità.

È impossibile non ritrovare in tutti questi personaggi la necessità urgente dell’amore, tanto da essere tacciati negativamente (come nel caso delle critiche ingiustificate da parte di molto pubblico sulla presunta banalità e insensatezza dell’amore di Ymir); ma gli amori di L’Attacco dei Giganti, come già ribadito, sono splendidi proprio per le contraddizioni tipicamente umane di ognuno di noi. Infine c’è la morte, l’ultimo dei motori che muove i personaggi del manga e dell’anime.

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L’elevato numero di personaggi principali, secondari e anonimi che decede nella serie diventa per i protagonisti un motivo per perseverare nella loro missione, per non lasciare che questi siano morti invano.

Spesso la visione della morte, sempre sul fiato del collo dei personaggi, li porta inizialmente a lasciarsi andare e arrendersi, almeno finchè non arriva uno scossone a riportarli alla lucidità. Questo scossone nella serie ha un nome ben preciso: Erwin Smith, una delle figure cardine sullo sviluppo di molti personaggi e tra i più interessanti scritti da Isayama.

Erwin è un personaggio complesso e sfaccettato, da un lato estremamente egoista come ammette lui stesso prima della sua stessa fine, che incarna perfettamente i valori di rispetto per la morte.

Nonostante sia il primo a mandare al macello numerosi soldati, comprende benissimo quanto il loro sia un sacrificio necessario ai fini della sopravvivenza dell’umanità intera; la sua forte personalità è temprata proprio dal numero di morti che ha sulle spalle e a cui deve dare valore con la riuscita delle sue missioni.

Un peso non indifferente, un personaggio continuamente legato alla morte da un solo minuscolo passo, Erwin non esita mai a stare in prima linea con i suoi compagni (a differenza di altri generali sempre al sicuro) sfidando ogni pericolo e mettendo in gioco la sua stessa vita. Indubbiamente questo è un aspetto fondamentale che costruisce la leadership e il rispetto di cui gode tra tutti i suoi soldati, che pongono in lui completa fiducia in ogni azione.

Sia nell’inseguimento di Eren rapito da Berthold e Reiner, quando mangiato per un braccio da un gigante incita come niente fosse i compagni di continuare la missione, sia nello scontro finale con il gigante bestia di Zeke, Erwin dimostra tutto il coraggio e il significato di essere un membro dell’Armata Ricognitiva: essere disposti a sacrificare se stessi per i compagni e per il futuro dell’uomo.

Sarà proprio rinunciando alla sua vita, dichiarando a tutti i suoi soldati che oggi moriranno trucidati sotto la pioggia di rocce del gigante bestia, che riuscirà a fornire all’umanità l’unica oppotunità di arrivare alla cantina di Eren.

Nel discorso in cui incita i compagni dichiara esattamente, mentre chiunque si chiedeva quale fosse il significato di una morte e di un’azione così folle, quale sia il profondo significato del loro gesto: per tenere vivo il ricordo di chi è morto prima di loro, per valorizzare anni di massacri di compagni, quel giorno la loro dipartita deve permettere ai pochi sopravvissuti di portare avanti anche la loro memoria, grazie agli importanti sviluppi che avrebbe portato il successo della spedizione.

Erwin, che fino a quel momento aveva agito per il suo interesse personale di conoscere la reale storia dietro il segreto dei giganti, si trova costretto a sacrificare la sua stessa vita a un passo dal luogo che più di ogni altra cosa al mondo avrebbe voluto visitare.

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Una ferita enorme per il suo ego, mostrata in tutta la sua folle rabbia mentre carica per l’ultima volta il nemico incitando il suo esercito. Finisce così la storia di un uomo che con la sua fredda e lucida abilità di calcolo ha portato l’umanità a risultati insperati, capace di trasformare tutto il peso delle sue scelte in una leadership che Isayama esalta sempre più nella storia, fino a farla cozzare in modo antitetico con la miseria dei suoi veri interessi, intenti e della sua morte.

Ancora una volta è la scrittura del mangaka, sempre attenta a mostrare le due facce (o più) che compongono azioni, sentimenti e uomini, a rendere la grandiosità e l’epica dei personaggi, mai ritratti in modo banale.

Isayama è molto abile a creare e descrivere le morti dei suoi personaggi, caricando le scene di pathos e lasciando scaturire forti emozioni. La morte di Sasha è indubbiamente una delle scene, sotto questo aspetto, meglio costruite: l’impatto che la sua morte ha sullo spettatore viene in realtà costruito fin dalle origini in cui il personaggio ci viene mostrato.

Sasha è forse la persona più genuina, pura e buona di tutta la serie, sempre propensa verso il bene, un po’ impacciata, fallace perché fortemente sensibile. La natura comica del suo personaggio, oltre ai valori sopra elencati, permette allo spettatore di affezionarsi particolarmente a lei rispetto ad altri e crea un forte dramma nella tragicità della sua morte.

Per rafforzare ciò, in punto di morte, Isayama punta ancora sulla comicità, questa volta nera, di Sasha che chiede per l’ultima volta se sia pronto il pranzo, giocando sulle sue tipiche gag con il cibo; qui declinandola sul tragico.

Isayama è ben conscio di chi far morire e come per ottenere il massimo impatto emotivo dalla scena: se al posto di Sasha fosse morte uno tra Conny e Jean (gli ‘ultimi’ rimasti in guerra del gruppo originale) la reazione dello spettatore e del pubblico non sarebbe certo stata così grande.

L’autore gioca spesso con questo alternarsi di clima disteso e comico in cui ci vengono mostrati e raccontati i personaggi e, invece, il disastro in cui perdono la vita; questo gli permette di drammatizzare ulteriormente le morti che inscena.

Esempi lampanti sono il massacro dei cadetti che prende luogo immediatamente dopo gli anni felici del loro addestramento e la fine della squadra di Levi sterminata da Annie: in entrambi i casi si passa rapidamente da una situazione relativamente calma e calda a un massacro senza esclusioni.

La caducità della vita umana per mano altrui, la morte improvvisa di una persona conosciuta per cui si prova affetto, è resa in modo impeccabile per tutta la durata della storia. Ciò contribuisce a rendere sempre più il reale dietro la finzione di L’Attacco dei Giganti, dove la morte può colpire improvvisamente chiunque, e dove questa spesso resta anonima, senza volto.