Kendrick Lamar – Mr. Morale & The Big Steppers | RECENSIONE

Kendrick
Condividi l'articolo

Kendrick Lamar ritorna con un disco rap sfaccettato, impegnativo e di enorme impatto

Kendrick Lamar è tornato. Lo ha fatto in fretta, di colpo, dopo cinque anni d’assenza, con un’altra odissea hip-hop della durata di un’ora e un quarto. Che è il tempo che il signor Duckworth impiega per stendere le sue acute elucubrazioni poetiche in un percorso musicale come al solito originale, sublime e fortemente contemporaneo, “asfaltando” (ci si consenta l’espressione geek) tutti i colleghi.

Mr. Morale & The Big Steppers prosegue il percorso introspettivo che da DAMN. (2017) conduce il rapper di Compton sempre più distante dall’impegno sociale dello studio musicale/antropologico di To Pimp a Butterfly (2015). Sì, è vero che l’artista ha sempre trovato spazio per le indagini personali, fin da Good Kid, M.A.A.D. City (2012).

Ma qui cambia tutto, perché la pandemia, l’era Trump, l’uccisione di George Floyd, il movimento Black Lives Matter ma anche il #MeToo e l’attacco di Capitol Hill sembrano aver spinto il rapper in una direzione ancora più astratta. Il commentario sociale infatti riguarda qui strettamente i rapporti tra le persone; e ad un livello molto più immediato rispetto a qualunque proclama politico di impegno sociale.

LEGGI ANCHE:  Kendrick Lamar: arriva il nuovo album, Mr. Morale & The Big Steppers

Kendrick conduce quindi questa specie di enorme soliloquio (per quanto non da solo), in una stanza vuota nella quale si immagina mondi, dialoghi, vicende, e situazioni; il tutto viene intessuto insieme dalla forza dei suoi ricordi, dei suoi rimpianti e dei suoi rimorsi che, nella loro fragilità, vanno a contrastare con la potenza del flow rap spesso volutamente scolorito e aggressivo.

In questo doppio intreccio, quindi, Kendrick Duckworth si erge al di sopra della scena rap guardandola dal di fuori e dal centro della stessa a un tempo, fornendo molteplici punti di vista che però, alla fine, sono sempre la proiezione prismatica del suo. Quel che ne emerge non è tanto una visione negativa quanto una introspettiva, appunto, incentrata sulla fragilità dell’individuo a fronte dell’enormità dell’esistenza nel mondo di oggi.

Continua a pagina 2!