La Fiera delle Illusioni: viaggio nel luccicante mondo dei ciarlatani da luna park

Secondo appuntamento della rubrica del CICAP: oggi andiamo alla scoperta de La Fiera delle Illusioni, ultimo film firmato Del Toro!

Fiera delle illusioni
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L’ultimo film di Guillermo del Toro, La fiera delle illusioni – Nightmare Alley, è un perfetto film noir che sfrutta molti dei cliché del genere: donne fatali, truffatori a caccia di denaro facile, potenti uomini dagli oscuri segreti… Ma non c’è solo questo. 

La prima parte del film segue l’ascesa di Stanton Carlisle (Bradley Cooper) nell’America degli anni Quaranta, che si lascia il passato alle spalle per lavorare in un luna park itinerante. Qui conosce tutti i personaggi che ruotano attorno a questo mondo: l’astuto direttore Clem (Willem Dafoe), la dolce e gentile “donna elettrica” Molly (Rooney Mara), la chiromante Zeena (Toni Collette) e suo marito Pete (David Strathairn). E poi uomini forzuti, nani, donne-ragno, uomini-bestia… 

Una delle parti più riuscite del film è proprio questa: l’atmosfera di questi spettacoli è ricostruita alla perfezione, con i loro colori luccicanti e le ombre più oscure. Lì, tra i cavalli delle giostre e le urla degli imbonitori, si ha quasi l’impressione di poter sentire l’odore di zucchero filato. E allora, immergiamoci nel mondo – non sempre scintillante – dei sideshow americani, che univano il gusto del sensazionale e del meraviglioso a una buona dose di ciarlataneria.

Un libro del 1946

Quando abbiamo detto che Guillermo Del Toro ha ricostruito l’atmosfera del tempo, non parlavamo solo in senso figurato. Il regista messicano ha letteralmente ricostruito un luna park in Ontario per girare le scene di Nightmare Alley, restaurando anche una vera ruota panoramica degli anni Venti e una giostrina degli anni Trenta. Per quest’ultima, ha fatto ridipingere tutti i cavalli, togliendo la vernice moderna stile anni Settanta e ricostruendo l’aspetto che dovevano avere nella prima metà del Ventesimo secolo.

Tutto il resto è stato ricreato da zero, ma con una certa accuratezza: i poster, i tendoni, la sedia elettrica e l’infernale casa degli specchi sono molto vicini a quelli che avreste potuto trovare in un luna park degli anni Quaranta. 

In questo, Guillermo Del Toro ha sicuramente sfruttato parte delle descrizioni del libro alla base della storia. Il film è infatti basato su un romanzo noir del 1946, Nightmare Alley appunto, dello scrittore William Lindsay Gresham. Nel 1947 venne trasformato per la prima volta in film dal regista Edmund Goulding.

Gresham, scrittore dalla vita complicata, conosceva bene il mondo dei luna park e delle attrazioni da fiera: nel 1937, volontario medico nella Guerra Civile Spagnola, strinse amicizia con Joseph Daniel “Doc” Halliday, ex-giostraio, e le loro conversazioni diedero spunto a Gresham per diverse delle sue opere (anche Nightmare Alley si ispirerebbe a uno di questi “racconti di vita”). L’autore, tra l’altro, nel 1954 pubblicò anche un saggio sui lavoratori dei luna park (Monster Midway: An Uninhibited Look at the Glittering World of the Carny). 

Sideshow e Ten-in-one

All’inizio di Nightmare Alley, viene inquadrata l’insegna luminosa del luogo dove si sta dirigendo il protagonista, in cui campeggia il numero 10: si tratta di un Ten-in-one, una comune forma degli spettacoli sideshow fino a pochi decenni fa. 

Sideshow significa, letteralmente, “spettacolo a lato”: si trattava di attrazioni secondarie che venivano associate a circhi, fiere, parchi dei divertimenti. Spesso si presentavano come Ten-in-one: con un solo biglietto d’ingresso, il visitatore poteva assistere a dieci esibizioni in baracconi diversi (salvo pagare un sovrapprezzo per accedere a particolari attrazioni). Per chi volesse capire meglio come funzionassero, consigliamo il libro “Secrets of the Sideshows” di Joe Nickell e gli approfondimenti di Bizzarro Bazar (Ivan Cenzi), che ha dedicato alcuni articoli al tema. Da uno di questi, leggiamo: 

“All’interno del luna-park, i vari stand e le attrazioni erano normalmente disposti a ferro di cavallo, lasciando un unico grande corridoio centrale in cui si aggirava liberamente il pubblico: la midway, appunto. Su questa “via di mezzo” si affacciavano i bally, le pedane da cui gli imbonitori attiravano l’attenzione con voce stentorea, ipnotica parlantina e indubbio carisma; talvolta si poteva avere una piccola anticipazione di ciò che c’era da aspettarsi, una volta entrati per un quarto di dollaro. Di fianco al signore che pubblicizzava il freakshow, ad esempio, poteva stare seduta la donna barbuta, come “assaggio” dello spettacolo vero e proprio. A sentire l’imbonitore, ogni spettacolo era il più incredibile evento che occhio umano avesse mai veduto – per questo il termine ballyhoo rimane tutt’oggi nell’uso comune con il significato di pubblicità sensazionalistica ed ingannevole.”

 

Attrazioni per tutti i gusti

Ma quale genere di spettacolo accoglieva il visitatore all’interno dei carrozzoni? Beh, c’erano attrazioni un po’ per tutti i gusti: giostre, labirinti di specchi, tiri a segno (o la “casa stregata” ispirata, nel film, all’Inferno di Dante). 

Una parte importante dei Ten-in-one era costituita da piccoli musei ritagliati nel poco spazio a disposizione, che proponevano esposizioni di oggetti strani e meravigliosi – non necessariamente autentici. Qui il visitatore poteva ammirare mummie, tsantsa (le teste rimpicciolite degli indios Jivaro), feti conservati in formalina, animali deformi, giganti pietrificati, sirene (famosissima quella delle Fiji, portata in tour dall’impresario Phineas T. Barnum); ma anche vere meraviglie naturali, fossili o reperti storici. 

In molti casi si trattava di gaff, cioè oggetti falsi in cartapesta (più tardi, si userà la gomma), oppure creati ad arte per lo show: molti sideshow, negli anni Quaranta, esponevano ad esempio la vera auto dei criminali Bonnie & Clyde (un’auto qualsiasi, ma opportunamente crivellata di colpi). Negli anni Cinquanta, molti baracconi offrivano al pubblico il vero cervello di Hitler in formalina, o una riproduzione del suo cadavere al completo…

A volte si trattava invece di oggetti autentici, ma presentati in maniera spettacolarizzata: una nutria impagliata o un capibara potevano diventare il “topo più grande del mondo”, un pezzo di quarzo il “diamante più prezioso dei maharaja indiani”. Nel film di Del Toro anche questa forma d’intrattenimento trova il suo spazio, con i feti in barattolo di Clem e l’Odditorium

Nei sideshow trovavano poi posto i freak show, con nani, giganti, donne barbute, personaggi affetti da deformità più o meno evidenti. Quando venivano a mancare i freak autentici, si provvedeva a far passare persone comunissime per meraviglie della natura: il “messicano a due teste” Pasqual Pinon si esibiva con una parrucca su cui aveva composto una seconda faccia, mentre i gemelli siamesi Adolph e Rudolph erano tutto fuorché siamesi. Indossavano un’imbracatura che permetteva a Rudolph, nato con gambe piccole e malformate, di agganciarsi al compare: con l’abito giusto e un po’ di pratica, l’effetto era convincente. 

A volte, poi, in qualche baraccone si poteva assistere a un vero e proprio spettacolino in cui si esibivano contorsionisti, lanciatori di coltelli, illusionisti, giocolieri, mangiatori di fuoco, fachiri, muri della morte… Due esempi tipici dei personaggi da luna-park sono, nel film di Del Toro, il forzuto Bruno (Ron Perlman) e il “Maggiore” (Mark Provinelli). 

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La bestia umana

I sideshow, insomma, si basavano su un principio: qualsiasi cosa, se presentata nel modo giusto dall’imbonitore, poteva essere uno spettacolo – anzi, il più grande spettacolo mai visto al mondo. I cartelloni pubblicitari alzavano continuamente il tiro: un “semplice” albino poteva diventare “l’ultimo Atlantideo”, il “Re dei Ghiacci”, “l’Uomo di Marte”.

Un esempio perfetto è quello del “Grande Omi” – all’anagrafe, Horace Ridler (1892-1965). Tatuato su tutto il corpo, Ridler si esibì per anni come artista di sideshow, a volte sotto il nome di “Uomo Zebra”. I suoi tatuaggi erano reali, ma non la storia che raccontava: i suoi spettacoli si aprivano con un monologo in cui affermava di essere stato rapito dai “selvaggi” della Nuova Guinea e sottoposto ai tatuaggi come forma di tortura. Oggi, la sua storia suona più falsa di una moneta da 4 euro; all’epoca, invece, era considerata plausibile da gran parte del pubblico. 

La paura e il fascino del “selvaggio” animava anche un altro – popolarissimo – spettacolo da luna park: quello del geek, l’Uomo Bestia. Racconta ancora Ivan Cenzi:

“Il geek era un’attrazione che normalmente apriva il freakshow. Veniva presentato talvolta come “anello mancante” tra l’uomo e l’animale, o come “ragazzo selvaggio”, o più semplicemente come un essere bestiale senza capacità di parola – una sorta di mostro vorace e famelico. All’interno di una gabbia, o di un’arena circolare, il geek grugniva e sbavava in modo animalesco, mentre gli venivano lanciati dei polli vivi (più raramente, serpenti). Il “mostro” li rincorreva a quattro zampe finché, afferratone uno, gli strappava la testa con un morso e la inghiottiva. Lo spettacolo era violento e turbava non poco gli spettatori: spesso le signore svenivano alla vista dell’inumana abiezione di quell’essere. In realtà si trattava di un attore, molto spesso un senzatetto alcolista che inscenava questa recita pur di rimediare qualche bottiglia di whiskey.”

La conturbante Spidora

C’è un personaggio particolarmente impressionante che, in Nightmare Alley, compare in alcune scene: una donna con testa umana e corpo di ragno. La scenografa Tamara Deverell ha spiegato al New York Post i retroscena della sua inclusione: 

“Questa cosa viene direttamente dalle memorie d’infanzia [di Del Toro]. Quando aveva sei anni andò a un luna park e vide quella donna ragno, così abbiamo fatto delle ricerche, e abbiamo capito come lo realizzavano: lei faceva capolino da una tavola con [le zampe di ragno attaccate] in modo che si potessero muovere da dietro”.

La donna ragno – spesso presentata sotto il nome di Spidora – era una delle tante attrazioni che sfruttavano trucchi da palcoscenico e illusioni ottiche. Il segreto stava in un sistema di specchi al di sotto della testa: se collocati in maniera opportuna, davano l’impressione che non ci fosse alcun corpo attaccato alla nuca (a parte quello ragnesco, ovviamente).

Con un gioco di specchi simile, venivano realizzate teste mozzate parlanti e la celebre Olga, la donna senza testa, riproposta in innumerevoli sideshow (questa volta, gli specchi riuscivano a nascondere il capo della donna, che veniva sostituito da un inquietante sistema di tubi). 

La donna elettrica

Il fascino per l’elettricità e il magnetismo venne sfruttato fin dall’Ottocento negli show dei luna park. Belle ragazze si esibivano con nomi allusivi come “Mademoiselle Electra” o “La Dinamo Umana” di fronte a un pubblico affamato di novità. Si iniziò con le “danze elettriche”, in cui gli abiti delle ballerine sembravano illuminarsi ed emettere raggi di luce. Questo effetto veniva ottenuto tramite proiettori che disegnavano ghirigori e fantasie sugli abiti completamente bianchi delle ragazze. 

Poi, si passò a spettacoli più elaborati, con una vena di macabro. Cominciarono a comparire le sedie elettriche, su cui prendeva posto l’artista (quasi sempre una donna). Un assistente tirava una leva, e la “vittima” veniva presa dalle convulsioni, per poi riemergere dalla prova tranquilla e sorridente. A volte, l’assistente si avvicinava con una lampadina, mostrandone l’accensione. 

Un’interessante variante di questo spettacolo andò in scena nel 1935, presso l’Esposizione Internazionale di Brussels (Belgio). In quel caso la “vittima” era un uomo di nome Floyd Woolsey, e l’esibizione si intitolava “Le Crime ne Paye Pas” (il crimine non paga): si trattava di una ricostruzione del cosidetto “ultimo miglio” di un condannato a morte; Woolsey veniva accompagnato da un sacerdote e dalle guardie (attori come lui), ascoltava a testa bassa la sentenza e l’elenco dei suoi crimini, pronunciava le sue ultime parole e moriva giustiziato (per finta, ovviamente).

Il segreto, in questo caso, stava in una bobina Tesla: un sistema che genera elettricità ad alta tensione ma con una bassa intensità di corrente, e per questo risulta abbastanza innocuo per chi vi è collegato. Pur non fulminando nessuno, l’alta tensione è sufficiente per produrre scintille dal sicuro effetto scenografico (è anche possibile accendere tubi a fluorescenza o lampadine al neon avvicinandole alla sedia). Anche se non mortali, le scariche elettriche potevano produrre fastidiose ustioni sulla pelle nuda delle “donne elettriche”: per questa ragione, spesso le artiste si proteggevano indossando ditali metallici sulla punta delle dita. 

Piccola curiosità: le bobine di Tesla furono sfruttate anche dalla nascente industria del cinema. Potete vedere i loro effetti in film come Metropolis (1927) e Frankenstein (1931), dove la “macchina elettrica che fa scintille” è un attributo indispensabile dello scienziato pazzo (oggi si preferisce evitare qualsiasi rischio e aggiungere i fulmini in post-produzione tramite CGI, come è stato fatto in Nightmare Alley). 

La predizione del futuro

Uno dei baracconi maggiormente presenti nei luna park era quello dei chiromanti. Lo stesso Gresham, nel suo Monster Midway, riporta alcuni dei trucchi psicologici utilizzati:

“Quando predici il futuro, metti tutto il tuo impegno nel capire quale tipo di persona hai di fronte. Guardala bene, fissala intensamente, specialmente se è una ragazza. Quando sarà mezza spaventata, ti dirà moltissimo senza saperlo. […] Metà del lavoro, mia cara, è saper compiacere, lusingare e sedurre le persone. Quando una ragazza ha qualcosa di insolito sul volto, devi dirle che significa una fortuna straordinaria. Se lei ha i capelli rossi o biondi, dille che è un segno sicuro che avrà molto oro. Quando le sue sopracciglia sono unite, significa che sarà unita a molti ricchi gentiluomini. Dille sempre, quando vedi un neo sulla sua guancia o sulla fronte o altrove, che questo è un segno che diventerà una grande signora… Lodare, lusingare, compiacere e piangere sono metà della predizione del futuro. Non c’è nessuna ragazza e nessun uomo in tutta la terra del Signore che non è orgoglioso e vanitoso per qualcosa, e se riesci a scoprirlo puoi ottenere i suoi soldi.”

 

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I chiromanti sfruttavano alcune tecniche ben conosciute da medium e illusionisti, come l’effetto Forer (quello che ci fa apparire le previsioni astrologiche sempre calzanti, anche quando si tratta di affermazioni generiche che possono andar bene per tutti). 

Un’altra tecnica ampiamente utilizzata era la cold reading (lettura a freddo): il modo di vestire dei clienti, quello di parlare, la presenza di fedi al dito erano indizi che potevano essere utilizzati a proprio vantaggio. Poi spesso i chiromanti andavano per tentativi, provando a buttar lì qualche parola o frasi che potevano adattarsi a molte situazioni, e “leggevano” le reazioni del proprio interlocutore. Sapevano così se continuare su quella strada, o se era meglio passare ad altro. 

Senza svelare troppo della trama di Nightmare Alley, anche il protagonista della nostra storia sfrutterà più volte questa tecnica per togliersi da situazioni difficili. 

Comunicazioni segrete in bella vista

In Nightmare Alley, prima Zeena e Pete, poi Stanton e Molly si esibiscono come mentalisti (il mentalismo è quella particolarissima branca dell’illusionismo che simula poteri paranormali come la telepatia o la chiaroveggenza). Il numero consiste nel chiedere a uno spettatore di prendere un oggetto dalle proprie tasche; l’assistente dell’illusionista chiederà quindi al “mago” di cosa si tratta, e quello indovinerà immancabilmente. 

L’idea di sfruttare il modo in cui si pone la domanda per dare indizi al partner sull’identità dell’oggetto non nacque nei luna park, ma nei salotti di magnetismo, e rimase a lungo uno dei pilastri del mentalismo. Per chi volesse approfondirne storia ed evoluzioni, uno dei maggiori esperti italiani è Mariano Tomatis, che racconta le mille sfaccettature di questa branca dell’illusionismo nella sua web-serie Mesmer in pillole e in un validissimo corso con Massimo Polidoro. 

Comunque, riassumendo molto: nel Settecento un medico viennese, Franz Anton Mesmer, elaborò una complessa teoria secondo cui l’uomo sarebbe permeato da un flusso armonioso di correnti magnetiche. Con la sola imposizione delle mani, il medico curante poteva agire sugli squilibri di questo flusso, “magnetizzando” il malato, facendolo cadere in una sorta di trance e curandolo. Durante questi stati di “trance” (che venivano chiamati “sonnambulismo artificiale”), i soggetti manifestavano una serie di capacità meravigliose: potevano individuare la fonte dei propri disturbi e il modo più adatto per curarli, riuscivano a vedere i propri organi interni e quelli degli altri; nei soggetti maggiormente predisposti, i mesmerizzati manifestavano poteri di chiaroveggenza, telepatia, insensibilità al dolore, capacità di vedere ad occhi chiusi… 

E così, tra Settecento e Ottocento, molte coppie (in genere un magnetizzatore uomo e una “sonnambula” donna) cominciarono ad esibirsi nei salotti e nei teatri. Si trattava di illusionisti che sfruttavano trucchi da prestigiatore, ma facevano passare i loro numeri come genuine dimostrazioni di magnetismo animale. In Italia, Elisa Zanardelli e suo padre Antonio presentavano un numero che stupì anche Carlo Collodi, il papà di Pinocchio; i racconti d’epoca (come questo del novembre 1893, in occasione di una sua esibizione a Modena) suggeriscono che i due impiegassero un metodo molto simile a quello di Zeena e Pete:

“Il Zanardelli per ottenere dalla Sibilla i responsi recavasi ne’ palchi, d’onde, chiesto ed ottenuto da qualcuno un oggetto, un pensiero, una sentenza, rivolgeva alla figlia brevi interrogazioni. Dessa quasi sempre coglieva nel segno. Talvolta il Zanardelli per interrogare la figlia anzichè delle parole servivasi del suono d’ un campanello.”

Un professore di letteratura italiana assistette allo spettacolo e cercò di scoprire il trucco. Le sue deduzioni furono raccolte in un opuscolo pubblicato nel 1854, “Segreto della seconda vista spiegato mediante la Crittologia da Emilio Roncaglia di Modena”.

È questo, molto probabilmente, il primo libro italiano in cui vengono rivelati i segreti delle “domande in codice”. Qualche anno prima, nel 1849, in Francia era già uscita un’opera che rivelava al pubblico i segreti di esibizioni del genere, ad opera di Antoine François Gandon.

Tutti questi metodi, comunque, si basavano sulla memorizzazione di lunghe liste di numeri, monete, lettere, oggetti, fiori, ecc… abbinate alle parole con cui l’assistente dell’illusionista apriva la sua domanda (un’arte che in Italia prese il nome di mnemotica). La comunicazione “aperta ma nascosta” rimase a lungo nei repertori degli artisti dell’illusione, sfruttata da sedicenti sensitivi, prestigiatori e ciarlatani da luna park. 

Onesti imbroglioni

Dopo tutto questo, è evidente che i luna park sfruttavano una buona dose di ciarlataneria applicata. Questo era particolarmente lampante nel tipo di spettacolo proposto da alcuni sideshow

C’erano, ad esempio, baracconi che giocavano sull’ambiguità della lingua inglese: come il Men eating chicken, che poteva essere alternativamente un “pollo mangiatore di uomini” (ciò che promettevano gli ammiccanti manifesti all’ingresso), o dei semplici “uomini che mangiano pollo” (quello che si trovavano poi davvero ad ammirare gli spettatori, dopo aver pagato il biglietto).

In Italia Gustavo Cottino, “re degli imbonitori”, propose nella sua carriera numerose baracche d’improsio (cioè d’imbroglio): come quella, ad esempio, che prometteva la visione dell’incredibile donna colosso, ma che nascondeva al suo interno una donna con un osso in mano (co’ l’osso, appunto). 

Una delle più ingegnose trovate fu quella di Phineas Barnum: nel suo museo, a pochi passi dall’entrata, i visitatori potevano ammirare un cartello con su scritto This way to Egress. In molti si affrettavano a seguire l’indicazione per ammirare il misterioso Egress, ignari che fosse solo un termine arcaico per uscita. E così, chi voleva rientrare nel museo, era costretto a ripagare il biglietto di ingresso…

Ma la gente, tutto sommato, non si arrabbiava più di tanto. L’imbroglio era un’innocua parte del gioco, a cui gli spettatori si sottoponevano con il sorriso sulle labbra. Nightmare Alley presenta il “popolo dei luna park” in una luce tutto sommato positiva, al di là di qualche eccezione: ciarlatani che facevano il loro mestiere, ma poco disposti a truffare fino in fondo. 

La perdizione di Stanton inizierà così, violando quella regola non scritta che impone di non toccar corde troppo profonde della vita degli altri. Perché gli stessi trucchi degli imbonitori potevano essere sfruttati per evocare spiriti, sconvolgere vite e turbare gli animi: per far del male ai propri clienti, invece di divertirli.

A cura di Sofia Lincos