The Last Dance: tutti gli aneddoti migliori su Michael Jordan e i Bulls

The Last Dance è il documentario che racconta l'ultima annata di Michael Jordan ai Chicago Bulls. Ecco gli aneddoti più curiosi raccontati.

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I “Bad Boys” di Detroit e le Jordan Rules

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Credits: YouTube Jordan Rules: A Detroit Pistons Secret to Stopping MJ/Barry Walton

Nel 1989 e nel 1990, quando i Bulls non erano ancora del tutto amalgamati nella squadra che avrebbe vinto 6 titoli, i più forti erano i ragazzi dei Detroit Pistons, la compagine guidata da Chuck Daly e passata alla storia per essere uno dei team più fisici, rocciosi, antipatici e a tratti scorretti della storia del gioco. Non a caso in quel periodo erano noti come Bad Boys ed erano guidati da una delle migliori point guard della sua generazione, Isiah Thomas.

Nonostante non avesse ancora un anello al dito, Michael Jordan era il giocatore più forte e immarcabile del mondo, e a Detroit questo lo sapevano bene. Per questo motivo, quando le squadre si trovarono di fronte nel biennio vincente dei Pistons, Daly attuò le cosiddette “Jordan Rules”, riassumibili come una specie di caccia all’uomo. Ad ogni movimento del numero 23 dei Bulls seguiva un fallo, un colpo, un tentare di infortunare (come dichiarato esplicitamente da alcuni giocatori dei Pistons, tra i quali Thomas, intervistati per The Last Dance). Detroit per 2 anni consecutivi annichilì fisicamente e mentalmente Jordan e Chicago.

Ma non avevano fatto i conti con la determinazione sovrumana del ragazzo del North Carolina. L’anno dopo, nella stagione 1990-1991, Jordan si presentò in campo dopo aver passato un estate in palestra a mettere su muscoli, prepararsi mentalmente a incanalare tutto il suo odio contro Detroit e a trasformarlo in energia positiva. Il resto è storia. I Bulls vinsero 4 a 0 contro Detroit che lasciò il campo prima della fine dell’ultima partita e poi batterono i Lakers, guidati da Magic Johnson, vincendo il primo di 6 titoli.

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L’affaire Is(a)iah Thomas

Il 7 febbraio 1989, quindi in piena era Pistons, a Tacoma, Washington nasce Isaiah Thomas, ex giocatore dei Boston Celtics. Suo padre lo chiamò così in quanto, perdendo una scommessa, dovette utilizzare il nome dell’odiato leader di Detroit ma decidendo comunque di aggiungere una “a” per far combaciare il nome di suo figlio con quello del profeta Isaia. Dopo la messa in onda degli episodi di The Last Dance nei quali veniva raccontato delle Jordan Rules, molti fan di Jordan hanno inveito contro Isaiah su Twitter, scambiandolo per il giocatore che picchiò sul campo il proprio beniamino, nonostante fosse ancore in fasce. Per questo assurdo motivo, il giocatore, attualmente senza squadra, ha dovuto spiegare questa ovvia situazione sul celebre Social Network.

In loving memory of Kobe Bryant

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Credits: Flickr/Zennie Abraham

Tra i molti che sono intervenuti alla creazione di questo documentario c’è stato anche Kobe Bryant, l’ex cestista, tragicamente scomparso lo scorso 26 gennaio in un terrificante incidente in elicottero. Nell’episodio 5 si racconta dell’incontro che avvenne durante l’All Star Game del 1999 tra MJ e Kobe. Jordan era consapevole della sua superiorità rispetto al mondo, ma era il primo ad accorgersi quando un altro uomo speciale scendeva sul campo da pallacanestro con lui. Fu quello il caso; i due giocarono a viso aperto, Kobe, allora giovanissimo, voleva dimostrare di essere all’altezza di Air Jordan.

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Quando si trovò spalla a spalla con MJ, Kobe si fermò a chiedere consigli al più forte giocatore del mondo che mise da parte l’ego e lo consigliò come un fratello maggiore. Jordan sapeva che Kobe sarebbe stato uno dei più forti giocatori di sempre, dopo di lui, ovviamente. Durante l’intervista, Bryant, vincitore anche di un premio Oscar per Dear Basketball, spiega come molti fan spesso gli ponevano la domanda se fosse meglio lui o MJ e ci rivela anche la risposta che dava sempre:

Tutto ciò che faccio l’ho imparato da lui, tutto quello che ho vinto l’ho vinto per lui

Kobe Bryant è uno di quei giocatori che maggiormente devono la propria fortuna all’esempio di Jordan. La sua competitività esasperante, la sua maniacale mentalità vincente, la cosiddetta Mamba Mentality, sono nate prendendo ad esempio chi ha completamente cambiato il modo di intendere lo sport. Non è un caso che Bryant, esattamente come Jordan, trovò il suo punto fermo in Phil Jackson, unico coach in grado di gestire quei due talenti così complessi ed egoisti, trasformandoli in terrificanti macchine da pallacanestro.