The Last Dance: tutti gli aneddoti migliori su Michael Jordan e i Bulls

The Last Dance è il documentario che racconta l'ultima annata di Michael Jordan ai Chicago Bulls. Ecco gli aneddoti più curiosi raccontati.

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La figura di Michael Jordan

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Credits: YouTube MJ 23 LAST SHOT 1998 HD | MICHAEL JORDAN KICK JAZZ ASS/SB MEDIA DriveTV

Per quanto si tratti di un documentario che narra una vicenda sportiva di squadra, il vero protagonista, come sul campo, è Michael Jordan. La sua figura viene analizzata, anche attraverso le sue stesse parole, in ogni singolo aspetto. Ciò che ha fatto in campo passa quasi in secondo piano. Spesso le sue epiche imprese ci vengono mostrate in rapide sequenze di raccordo. Ciò che interessa è far conoscere chi realmente Michael Jordan sia. Perché MJ non è stato solo uno dei più grandi giocatori di ogni epoca: il numero 23 ha cambiato per sempre il modo di intendere lo sport.

Lui stesso ci racconta della sua competitività esasperata, del suo non scendere mai a compromessi pur di arrivare ad uno e uno solo obiettivo: la vittoria. Tuttavia, nonostante fin da bambino sapesse di essere il migliore, trovò un uomo capace di incanalare la sua enorme superiorità: Phil Jackson. Senza il suo coach, che gli spiegò come non avrebbe mai vinto senza coinvolgere i compagni, non avremmo avuto alcuna The Last Dance.

Vincere è l’unica cosa che conta

Michael Jordan ha subìto per tutta la carriera una pressione mediatica indicibile, eppure non ha mai perso di vista il proprio obiettivo sportivo. Non ha mai fatto abuso di alcol o di droghe e le serate brave sono sempre state ridotte al minimo. Ha trasformato il suo corpo in un tempio, a tal punto che bastò una serata ad un casinò per fargli piovere addosso un diluvio di polemiche che lo esasperò. Fatto di cui, comunque, parleremo dopo. Jordan non accettava lo scarso impegno, non accettava la leggerezza di alcuni compagni, li maltrattava, urlava e li teneva sempre in riga: questo rese i Bulls la squadra leggendaria che è stata.

Quando gli avversari decisero che l’unico modo per batterlo era colpirlo provando a fargli male, lui passò un’estate in palestra, distruggendo letteralmente chiunque si contrapponesse tra lui e la vittoria. Ebbe un pessimo rapporto col General Manager dei Bulls, Jerry Krause, che ebbe il merito di creare la squadra, ma il demerito di non saper trattare mai nel giusto modo le persone, facendo il suo lavoro in maniera fin troppo venale.

Quando Krause, a metà della stagione, asserì che Phil Jackson non sarebbe stato confermato coach per la stagione successiva, creando scompiglio nello spogliatoio, MJ si schierò al fianco del suo allenatore e mentore. Dichiarò pubblicamente che senza Jackson se ne sarebbe andato a sua volta; questo tuttavia non lo distrasse dall’obiettivo finale della vittoria, con la quale sia lui che Jackson lasciarono Chicago. Jordan batté chiunque, divenendo l’esempio di come un vero leader deve comportarsi fuori e dentro il campo.

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Il lato oscuro di Michael Jordan

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Credits: Flick/Barbara moore

Jordan durante la sua gloriosa carriera è sempre stato considerato un modello da ogni punto di vista. Atleta oltre ogni immaginazione, ammirato anche per la sia integrità morale, non ha mai conosciuto uno scandalo, né nessuno che avesse da ridire su His Airness. Tuttavia MJ, come ognuno di noi, non era perfetto. Le puntate di The Last Dance ci mostrano il lato umano di un giocatore così unico e speciale. Il viso del numero 23, durante la sua carriera, era praticamente ovunque.

L’atleta ha prestato la sua immagine per sponsorizzare praticamente qualsiasi cosa, dal McDonald’s alle bibite energetiche, rendendo virale nel mondo lo slogan Be Like Mike (Sii come Mike). Nel novembre 1984, quando MJ era ancora un rookie, la Nike gli propose un contratto faraonico, il 150% maggiore rispetto a quello che veniva offerto all’atleta più pagato. Lanciò dunque una linea di sneakers, la Air Jordan, destinata a un successo senza precedenti, registrando 120 milioni di dollari di vendita solo nel primo anno di commercio. Ma quest’aura di perfezione creata intorno a Jordan rese solo più complicata la gestione di quei problemi, che pure rispetto ad altri colleghi sembrano decisamente lievi, che da lì in poi si susseguirono.

The Jordan Rules di Sam Smith

Uno degli esempi più clamorosi fu il libro The Jordan Rules, scritto dal giornalista Sam Smith nel 1991, nel quale venivano raccontati diversi retroscena sullo spogliatoio dei Chicago Bulls. Tuttora non è noto chi sia stato a portare all’esterno quelle informazioni private. Voci di corridoio hanno trovato in Horace Grant il colpevole, voci smentite dallo stesso giocatore proprio in The Last Dance. In quelle pagine vengono raccontati decine di aneddoti riguardanti Jordan e il suo modo poco ortodosso di trattare i compagni.

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Il suo ego smisurato e la sua competitività patologica lo portavano a maltrattare chiunque non fosse sulla sua stessa frequenza, quindi quasi nessuno al mondo. Si narra di un pugno rifilato a Will Perdue, di maltrattamenti di ogni genere, di imposizione tattiche del tutto arbitrarie, come non passare la palla al centro. Nel libro si parla anche di come Jordan impedisse allo stesso Grant di mangiare qualora avesse giocato male. Tutta la squadra negò immediatamente quanto scritto in The Jordan Rules ma questo macchiò per sempre quell’immagine quasi eterea che Jordan si era costruito. Neanche questo evento riuscì tuttavia a smontare la forza di MJ, che continuò a vincere. Eppure, potrebbe aver influito sulla sua decisione di smettere di giocare a basket per giocare a baseball, cosa di cui si sarebbe pentito poco dopo.

Michael Jordan e il gioco d’azzardo

Nel 1993 i Bulls affrontarono in finale della Eastern Conference i temibili New York Knicks, guidati da Charles Barkley. Chicago perse le prime 2 partite della serie, e nel secondo incontro Jordan apparve stanco. Emerse che la notte prima dell’incontro MJ era stato al casinò di Atlantic City insieme a suo padre e che fosse rincasato a notte inoltrata. Questo dettaglio scoperchiò un enorme vaso di Pandora, rivelando quella che molti definirono una dipendenza dal gioco d’azzardo, che avrebbe potuto compromettere il gioco di MJ.

Venne alla luce infatti che nel 1991 Jordan saltò la visita alla Casa Bianca per andare a giocare a golf con James “Slim” Bouler, uno scommettitore seriale, che qualche anno dopo sarebbe stato arrestato per riciclaggio di denaro. Quando perse la propria libertà i federali trovarono in casa sua un assegno di 57.000 dollari firmato da Jordan. Al processo il numero 23 dei Bulls confessò che quella cifra era destinata a ripagare un debito di gioco, maturato sul campo da golf.

Oltre questo, nello stesso periodo dei fatti di Atlantic City, venne pubblicato un libro, Michael and Me, scritto da Richard Esquinas. L’uomo raccontava come Jordan gli dovesse oltre un milione di dollari, sempre a causa dei debiti di gioco. Questi dettagli sulla vita privata di Jordan squarciarono quel velo di divinità che gli si era creato attorno, sottoponendo MJ ad una pressione insostenibile, che causerà il suo primo, prematuro ritiro.

Scommetto solo su me stesso – ha spiegato Jordan interrogato sui fatti – Quello era il golf. Mi piace giocare a blackjack, sì, mi piace giocare a blackjack. Non c’è niente di male. Posso smettere di giocare. Ho un problema con la competizione, un problema di competitività. Mi piace scommettere, è un hobby. Se avessi un problema, morirei di fame. Avrei venduto come un ambulante questo orologio, i miei anelli da campionato, avrei venduto la mia casa. Mia moglie mi avrebbe lasciato o sarebbe morta di fame. Non ho problemi, mi piace il gioco d’azzardo.