L’ultimo disco del (fu) rapper conferma la sua aspirazione internazionale. E la rilancia.
Se Ghali droppasse oggi stesso la sua hit Ninna Nanna su Spotify, molto probabilmente questo pezzo non diventerebbe lo spacca-classifica che è stato nel 2016. In Italia, abbiamo esaurito l’hype per la nostra “prima” trap, quella che ha reso necessario trovare un significato al termine nella nostra lingua e nella nostra musica. E non poteva essere altrimenti: era una fase di passaggio, che ha avuto la sua parte di merito nel dare una rinfrescata al nostro panorama e nel dare agli aspiranti emergenti talentuosi (per fortuna) e non (purtroppo) un nuovo sottogenere in cui cimentarsi. Però non siamo gli States, rendiamocene conto.
E adesso le meteore della nostra prima trap si ritrovano al punto di partenza. Un sacco di soldi, droga tagliata meglio di quando la compravano dal pusher a Rogoredo, niente più lame in tasca e affitti che si pagano senza sforzo da un bel po’ di tempo. Chiaro che flexare i soldi diventa un po’ scomodo adesso, tanto più se non lo hanno mai fatto perché i soldi non li hanno mai avuti. Devono rientrare in carreggiata, fermo restando che tornare nell’orbita del rap è fuori discussione.
Un piccolo passo per l’Italia, un grande passo per Ghali.
Affermare che Ghali è un eletto rischia di essere un po’ offensivo: sembra quasi che quello che riesce a fare non sia merito suo. Invece si deve prendere tutti i suoi meriti, tra i quali un’attitudine schiva e il gusto per lo spettacolo, che ha sfoggiato anche a Sanremo. In molte interviste, Ghali taglia corto e sta attento a far uscire fuori solo quello che può servire a leggere i suoi pezzi in modo diverso. Al contrario di chi si è gettato nel tritacarne del pop-rap per vendere e del reggaeton più ignobile, da ex-meteora di una trap un po’ superficiale Ghali non vuole buttare l’occasione di iniziare a far prendere sul serio la sua musica, rendendola l’unica cosa importante del suo personaggio pubblico. Zero gossip.
Il suo nuovo disco DNA è uscito il 20 febbraio per Sto Records/Warner Music Italy, anticipato dai singoli Flashback e dalla moderna spacca-classifica, Boogieman con Salmo. Ironicamente, in quest’ultimo pezzo si incontrano i due artisti italiani che negli ultimi due anni hanno cercato e trovato un’impressionante crescita: Salmo a livello di pubblico, Ghali a livello di personalizzazione della propria arte. E il disco è davvero personale come il DNA del cantante milanese. Chiamarlo “rapper” è anacronistico, ormai: Ghali si scrolla di dosso l’etichetta e diventa Ghali, una personalità così forte da imporsi anche al di fuori dell’Italia. Non per nulla, l’anno scorso ha fatto uscire un remix di Antisocial di Ed Sheeran con Travis Scott(e non si è solo fatto inviare la strofa da Quavo).
Se poi il “personale” di Ghali è anche mondiale, la sua musica ha fatto centro.
Probabilmente Ghali è proprio sé stesso in questo disco, ed è per questo che ha avuto la forza di provare. I suoni dell’intero album rompono il nastro registrato del pop italiano, come Dardust da qualche tempo a questa parte. Non c’è Charlie Charles dietro, sul quale Ghali, con la solita imperturbabilità, non ha rilasciato dichiarazioni scandalose. Forse le strade dei due si sono divise senza troppi rimpianti non appena sono iniziate a cambiare le esigenze professionali: a Ghali serviva staccare anche dall’ibrido pop-rap del suo primo Album, che si era dimostrato un successo.
Salta fuori in un paio di occasioni Sick Luke, ma solo per permettere a Ghali di non soffocare la parte di lui che con il rap è cresciuta. ThaSupreme si conferma uno dei più promettenti producer italiani con un cambio di beat che martella dritto nella testa; i due excursus dal sound orientale dei brani Jennifer e Combo ripescano dalla Wily Wily che quattro anni fa era il pezzo più sofisticato di Ghali. Tutto il comparto tecnico del disco è un viaggio in un minimalismo di facciata che è il simbolo della nostra era musicale: la miriade di suoni in ogni brano diventa un unico tappeto avvolgente di musica che scavalca le etichette. Ogni beat sembra poco, ma è tantissimo.
Dietro la facciata, c’è il paesaggio della mente del vero Ghali.
“Il successo è una droga che va sempre di moda, se non ti fa più prova ad aumentare la dose” Ghali nella title-track si fa un esame tossicologico; e condensa in questa frase ogni supposizione nata dall’ascolto del suo disco.
In copertina, dietro la faccia del Ghali-uomo c’è uno spazio infinito dal quale, fino ad ora, sono emersi solo pochi scorci. E nei testi si sente l’allargamento di prospettiva, da un linguaggio che ormai abbraccia sfumature differenti e si scuote di dosso una figura stereotipata. L’amore per il fascino di Jennifer e l’ordinaria senza nome di 22:22 diventa addirittura il protagonista di una canzone, liberandosi della spacconeria. Così come le false amicizie ora sono una constatazione, comunque arrabbiata (nella già citata Fast Food) ma matura.
Ghali ha perso anche il vizio di ammiccare continuamente alle ultime tendenze del mondo che lo circondava, liberandosi della catena modaiola che lo legava ad un’immagine che gli ha permesso di esplodere ma ora stava contenendo la seconda, e molto più gentile, esplosione. Quando si sente solo c’è il mondo intero ad accoglierlo, ed è solo lì che si sente sé stesso: nell’intero mondo.
Ghali non è più la next big thing, è uno dei pochi che è riuscito a sgomitare e farsi spazio nel panorama internazionale, che in Italia ancora guardavamo da lontano. C’è un po’ di fame di successo dietro? Probabile, ma il vecchio Ghali è morto quando è caduto dalle scale di Sanremo e deve trovare la sua nuova identità. “Ti mostro come sparisce una star e alla gente piacerà” (da Fallito, ultimo brano del disco).