J. Cole – The Off-Season | RECENSIONE

Il rapper, l'artista che ha ancora il coraggio di costruire progetti lunghi più di due anni.

(Fonte: pagina Facebook ufficiale di J. Cole)
Condividi l'articolo

Il penultimo atto del progetto: un album lungo più di due anni.

J. Cole sta portando avanti un progetto che rimarrà nella storia dell’hip hop: il suo penultimo disco Revenge Of The Dreamers III, la sua “features run” durata poco più di un anno e cominciata nel 2018, l’ultimo uscito The Off-Season e il lavoro che verrà, It’s A Boy, fanno parte della “Fall Off Era”. Per adesso a spiegarci di cosa si tratta abbiamo soltanto l’agenda di Cole, in un post pubblicato a dicembre 2020. Non sembra uno schema particolarmente complicato, ma suggerisce un collegamento tra le fatiche discografiche di uno dei più grandi rapper viventi.

L’esistenza di un’idea chiamata The Off-Season era già stata annunciata: si trova nella descrizione del videoclip e nell’artwork del freestyle Album Of The Year, droppato da Cole nel 2018. Allora vediamo dove ci sta portando The Off-Season, pubblicato il 14 maggio per Dreamville Records, Roc Nation e Interscope.

Hip hop purissimo e consapevole, con il peso di un progetto sulle spalle.

Cole viene da due dischi profondamente diversi tra loro. KOD era esagitato, Revenge Of The Dreamers III era un atto comunitario con l’ampio respiro di tutti i dischi fatti di posse cuts. La “features run”, ossia il suo impegno in una gran quantità di featuring tra il 2018 e il 2019(culminato con Family And Loyalty dei Gang Starr), è stata un esperimento fuori dalla propria comfort zone per non morire con qualche rimorso. In effetti le numerose collaborazioni (Jay Rock, 21 Savage, Young Thug, Ty Dolla $ign) lo hanno portato a sperimentare un tipo di hip hop che si era già lasciato alle spalle.

LEGGI ANCHE:  I Sigur Rós e l'importanza dei testi

The Off-Season invece è un ritorno all’hip hop profondamente personale del rapper tedesco-americano. Sono evidenti le affinità con 2014 Forest Hills Drive, considerato il suo miglior disco, nell’intimità delle riflessioni sul proprio percorso di vita. La prima traccia, 9 5 . s o u t h, si riferisce alla direzione di marcia sull’Interstatale 95 per partire da New York e arrivare a Fayetteville (NC), le due città in cui Cole si sente a casa.

Il rap storico di New York è l’influenza principale della musica di J. Cole e ricollega questo disco ai suoi primi lavori; il vero classico ispiratore di Cole è Nas, da cui prende la densa metrica riversata in a p p l y i n g . p r e s s u r e. Della Grande Mela si sente anche il fumoso jazz rap (in pezzi come l e t . g o . m y . h a n d oppure p u n c h i n ‘. t h e . c l o c k).

J. Cole
J. Cole live. (Fonte: waitfashion.com)

Un ritorno nella comfort zone? Non proprio.

In rappresentanza della North Carolina ci sono i pezzi di passaggio tra il southern hip hop e la primissima trap; un esempio è la già citata 9 5 . s o u t h ; non è raro che questi brani finiscano nel solco della trap più coraggiosa degli Stati Uniti. Il merito è di 21 Savage e di alcuni artisti (soprattutto Bas) della Dreamville Records. Che poi sarebbe l’etichetta messa in piedi da J. Cole stesso nel 2007. Anche in questo si riscontra la volontà di Cole di tracciare un filo tra le città che gli hanno dato una casa: nel costante lavoro di coinvolgimento e spinta degli artisti emergenti, anche in quello che dovrebbe essere un disco “personale”.

LEGGI ANCHE:  Qualcuno fermi Childish Gambino

Allora viene da pensare che non sia poi così personale. Dalla “features run” , forse, Cole è uscito cambiato. La sua lontananza dal rap dell’ostentazione di oro e argento è sempre stata palese; non che questo abbia mai comportato un problema per la musica di Cole. Non aveva alcun bisogno, in questo lavoro, di avvicinarsi allla “new school”, anche la più zarra (1 0 0 . m i l ‘, i n t e r l u d e) e la più emotiva (a m a r i).

Dall’altro lato, anche le larghe vedute sulla “black music” nella sua interezza non possono essere casuali. Il ritornello di m y . l i f e è ripreso dal brano The Life del rapper (newyorkese, chiaramente) Styles P, cantato da Pharoahe Monch; screziate dal soul gli ultimi tre brani del disco: t h e . c l i m b . b a c k , c l o s e , h u n g e r . o n . h i l l s i d e.

Il video ufficiale di a m a r i. (Fonte: YouTube / J. Cole)

La caduta nell’anonimato?

Se J. Cole avesse voluto costruire un disco “comodo”, di sicuro non l’avrebbe incluso nel progetto della Fall Off Era; e non avrebbe neanche provato a collegare New York e Fayetteville, definendo le identità delle due città attraverso la propria. Teniamo conto di cosa significa “to fall off”: diminuire in qualità o quantità, in questo caso molto probabilmente riferito alla perdita di fama.

Sicuramente la catena di collaborazioni lo ha reso conosciuto, e gli ha costruito intorno un’aura di infallibilità nei featuring. Ma anche questo fa parte del suo piano, a quanto sembra. Non sappiamo dove stia andando la musica di J. Cole; di certo, un disco come The Off-Season riesce ad essere solido anche al di fuori del grande progetto. Che poi possa condurre alla “fall-off”, alla caduta… È possibile, anche se ci auguriamo di no.

J. Cole – The Off-Season / Anno di pubblicazione: 2021 / Genere: Hip Hop