Film boicottati, una stupida pratica: da Polanski ad Allen

Boicottare un film non è mai stato così facile. E mai come ora i numeri ci dicono come sia tutta una fiaba. Che non serva a nulla

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I film boicottati sono aumentati. La distanza percepita tra spettatori e industria cinematografica non è mai stata così sottile. Un mondo che fino a pochi anni fa affascinava proprio in virtù della sua inavvicinabilità, ha ora un rapporto quasi personale con i suoi fruitori. Non siamo più solamente critici (il secondo mestiere di tutti, diceva Truffaut), ma anche esperti di marketing, di produzione, di strategie distributive. Piccoli gruppi di spettatori hanno voce in capitolo su casting, montaggio, effetti, sulle modalità di uscita e di promozione. E ovviamente, sulla vita o la morte di un film. E’ un discorso che riguarda i blockbuster da miliardi (ricordate il caso Sonic?) quanto lo speciale dell’ultimo stand up comedian. Boicottare non è mai stato così facile. E mai come ora i numeri ci dicono come sia tutta una fiaba. Che non serva a nulla.

Un po’ di dati: tre film boicottati nel 2019

Tre film maledetti, la cui pericolosità è stata per mesi cruccio principale dai media, hanno segnato il calendario distributivo mondiale dell’autunno 2019. La serie di misure pubbliche e private atte a danneggiare l’uscita di questi lavori ha sortito però un effetto particolare: nessuno. Capiamo perché.

Il più significativo dei titoli da prendere in analisi, è ovviamente L’Ufficiale e la Spia di Roman Polanski. Era legittimo domandarsi come avrebbe reagito il grande pubblico ad un film così beffardamente controverso per almeno una dozzina di motivi diversi; a differenza di altri, J’Accuse è d’altronde l’unico per cui nella maniera più classica e letterale si possa parlare di boicottaggio.

A circa un mese dall’uscita in patria, L’Ufficiale e L’Spia è semplicemente un trionfo. Oltre 9 milioni di euro incassati in Francia, più di un milione di biglietti staccati. Stracciati i dati di tutti i film virtualmente “maggiori” dello stesso autore (Ghost Writer, Oliver Twist, persino l’Oscar The Pianist). In Italia, secondo Paese ad aver anticipato l’uscita, Dreyfus viaggia sereno in linea con i precedenti film dell’autore (poco sotto i tre milioni in due weekend). A Natale, il film sarà distribuito in Spagna e nei Paesi scandinavi, mentre vedrà il resto del mondo il prossimo anno. Per un film costato venti milioni di euro e prodotto “all’europea” (sovvenzioni pubbliche e prevendite televisive, senza o quasi immissione di capitali privati), è un successo.

Seppur esentati (o quasi) da picchetti di fronte alle sale, presagi nefasti hanno accompagnato le proiezioni di altri due spauracchi.

Per quanto riguarda A Rainy Day in New York, è giusto fare una precisazione: la dannazione del personaggio Woody Allen è prerogativa esclusivamente americana, e nessuno si aspettava realmente alcun tipo di reazione alle chiamate di diserzione mosse dallo star system hollywoodiano. In più, a differenza di Polanski, un film di Allen non è certo un evento raro, e la risposta dei mercati europei è stata, pressoché, la solita. A Rainy Day va meglio di Wonder Wheel, peggio di Café Society, in linea con Irrational Man. Che sia successo quello che è successo, pare non se ne sia accorto nessuno.

Il terzo film, su cui tutto è già stato probabilmente detto, è Joker. Schedato come opera audiovisiva più pericolosa dai tempi del Trumph Des Willens a mesi dai primissimi screen test; massacrato in quanto immorale da più parti, con conseguente, probabilissima delusione ai prossimi Oscar; segnalato pubblicamente dal Dipartimento di Sicurezza americano come evento a rischio; proiettato con i militari a presidiare le sale, mentre Joaquin Phoenix abbandonava in diretta l’intervista con il Telegraph, e Todd Phillips mandava a casa i reporter dalle anteprime stampa. Scene d’altri tempi.

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Previsioni di partenza: non oltre 150 milioni al botteghino casalingo, numeri mondiali inferiori ai 600 di Justice League. La risposta del pubblico: oltre un miliardo di incasso totale, prima della stagione dei premi. In America, più di 330 milioni.

Perché boicottare, nel 2019?

Per capire i fallimenti di questi boicottaggi, bisognerebbe stabilire una volta per tutte una definizione adatta. Esiste chiaramente una distinzione con l’idea classica, spesso tirata in ballo a sproposito, di censura (manovra governativa atta a rimuovere dalla circolazione opere giudicate immorali o sovversive – le famose copie bruciate di Ultimo Tango). Un processo mirato all’annullamento fisico del master oggi non è più pensabile: il massimo che può fare uno status quo percepitosi minacciato da un prodotto d’intrattenimento è “consigliare” di stare alla larga dal film (magari preannunciando sparatorie e attentati), peraltro con risultati risibili.

Film boicottati: La volontà di rimozione, oggi, parte dal pubblico

Proviamo ad inquadrare il boicottaggio in base alla direzione di provenienza. Il dissenso può partire da un generico quanto impotente “sistema”, impegnato come può a convincere il pubblico della pericolosità sociale dell’evento (Joker). Può partire dall’industria stessa, imponendo ai propri professionisti di dissociarsi per questioni d’immagine dall’oggetto del moral panic momentaneo (Allen). Infine, vera e più interessante prerogativa di questi anni, il boicottaggio “dal basso”, chiesto a gran voce da una piccola parte del pubblico nei confronti di nomi altrimenti integrati e premiati a Venezia (Polanski).

L’Ufficiale e la Spia era dunque il caso più emblematico. Che Joker avrebbe scatenato stragi di massa non ci aveva mai veramente creduto nessuno; e al pubblico di Allen, che Timothée Chalamet disconosca il film su Instagram importa meno di zero. Roman Polanski fronteggiava invece accuse tutto sommato importanti (stupri, mica tweet offensivi), e aspettarsi una forma di rifiuto, seppur minimo, era tutto sommato nell’ordine del possibile. Il rifiuto, semplicemente, non c’è stato.

Perché si boicotta un film, o un prodotto di intrattenimento in generale? Per danneggiarne il risultato finanziario (esempi recenti: The Last Jedi, Captain Marvel), o per esprimere dissenso nei confronti del realizzatore (i picchetti contro Polanski)? Non c’è distinzione, gli intenti muovono dallo stesso presupposto: la delegittimazione di qualcosa o qualcuno deve passare attraverso il danno economico. Ora, il fallimento di questi propositi ci dicono che: o mezza Europa si è dichiarata favorevole allo stupro di minore decretando il successo di J’Accuse… Oppure questa sovrapposizione tra fruizione e assenso morale, nella testa dello spettatore qualunque, non trova più spazio.

Tale sovrapposizione ha in fondo origini culturali precise: protestanti, imprenditoriali, anglosassoni. Difficile trovarvi paragoni nel resto del mondo. Anche per questo le proteste sembrano avere il peso che hanno in USA o in UK, mentre a Parigi o a Roma le sale si riempiono. Ovviamente, anche il rifiuto del pubblico anglosassone nei confronti degli autori condannati è una sorta di profezia autoavverante: “la gente non vuol vedere il film, pertanto cancellerò le proiezioni, il pubblico non lo vedrà, e ciò confermerà il mio assunto”. Se A Rainy Day avesse aperto con mille schermi in USA, avrebbe davvero sofferto lo stigma sociale di Allen? Quanto avrebbe incassato? Poco probabilmente, come ogni altro film del regista in America. Non è dato saperlo. Eppure, i metri di paragone ci sono.

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Come reagisce l’industria al boicottaggio?

Dalle poche sale europee di Polanski e al trionfo su scala mondiale di Todd Phillips, il grande pubblico si muove alla stessa maniera: ignorando le proteste. La popolarità in termini social di un film, che tanto spaventa gli analisti, è un valore più che altro percepito; in ballo, c’è piuttosto una classica questione d’immagine. Che gli allarmi partano dagli organi di sicurezza nazionali (Joker) o dalle frange più estremiste di 4chan e compagni (Captain Marvel), il responso popolare continua a dare prova di non risentirne.

Al contrario, questi trend si sono ormai da tempo rivelati un’arma in più per gli uffici stampa; basti vedere quanto ha giovato la radicalizzazione mediatica di un prodotto per famiglie innocuo come Black Panther in ottica di incassi e premi. E’ il segreto di Pulcinella dei successi Disney/Marvel recenti: si fa leva su un boicottaggio politico senza peso, e lo si usa per portare in sala una mole di pubblico che non si sarebbe mai raggiunta. Ergo i film boicottati in fondo provocano, spesso, l’effetto contrario.

La maniera con cui le produzioni affrontano le proprie grane social diviene a questo punto surreale: la corsa a mettersi a riparo da un pericolo che non c’è. Il comportamento tenuto dalla Warner con Joker è significativo: con in un mano un tracking del genere, la Disney avrebbe tolto il film dal mercato, rimontandolo da capo e distribuendolo sotto silenzio due anni dopo, sperando che la gente se ne dimenticasse. La WB ha tenuto il punto, ha spinto il film nella tana del leone – e ha scoperto che il leone non esiste. Agli spettatori, dei militari, degli articoli di gossip e costume, di Joaquin Phoenix che litiga con Kimmel, non importa nulla. I film non appartengono a giornalisti o addetti ai lavori, ma agli spettatori. Quelli che li vanno a vedere.

Tre mesi fa, le dichiarazioni pro-Cina della piccola Mulan Liu Yifei avevano fatto passare un brutto quarto d’ora in casa Disney. A pochi mesi dall’approdo in sala del film dell’anno annunciato (la più importante operazione di assalto al mercato cinese nella storia di Hollywood), la casa delle buone intenzioni si è trovata per le mani una principessina di Partito, fiera sostenitrice delle repressioni poliziesche in atto ad Hong Kong. Detto fatto: Twitter scatenato, partecipazione d’onore al Disney Expo annullata in fretta e furia.

Come reagirà la major più importante, alla polemica più grave di tutte? I propositi di boicottaggio sono già partiti. Venendo incontro alle proteste e prendendo le distanze dalle politiche di Xi Jinping, la Disney rischierebbe di mettere a repentaglio l’uscita del film in Cina con esiti economicamente devastanti. Ignorandole, confermerebbe ciò che in fondo tutti sanno: che nessun boicottaggio ha oggi più valore. Mulan incasserà due miliardi, che la Disney prenda posizione o no, che ascolti le proteste dei media o no. Arthur Fleck, in fondo, ad Hong Kong c’è arrivato lo stesso: non come stragista armato di Remington, ma come maschera, sulla faccia dei manifestanti.

E voi cosa ne pensate? Trovate giusto che alcuni film vengano boicottati? Diteci la vostra!

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