Troll, boicottaggi e cinema americano: storia recente da Ghostbusters a Captain Marvel

Il successo o il flop dei prodotti hollywoodiani sono il nuovo territorio dello scontro poltico-culturale USA. Sembra che Captain Marvel abbia fermato tutto

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Captain Marvel non sorride abbastanza. All’uscita del primo trailer del ventunesimo film Marvel, qualche solerte utente Twitter d’oltreoceano aveva portato all’attenzione il dettaglio. Troppa seriosità, troppa prosopopea sul volto protagonista del “primo film con un supereroe donna”. Ed ecco in pochi giorni emergere dagli angoli dell’universo social una schiera di rozzi meme, in cui sul volto imbronciato di Brie Larson veniva fotoshoppato un grottesco, volutamente uncanny sorrisino. Una boutade vagamente sessista, che solo i più attenti hanno letto come il vero antipasto di ciò che sarebbe inevitabilmente successo nei mesi successivi: la puntuale levata di scudi del variopinto mondo alt-right dei social media americani (troll, hacker, fabbricatori seriali di meme) nei confronti dell’ennesimo prodotto propagandistico della odiata Hollywood liberal.

Il bombardamento che è seguito non ha fatto altro che rimettere in scena un copione già scritto. Ai primi meme atti a stigmatizzare la serietà woke di Brie Larson, è seguito il dispiegamento effettivo degli ormai noti mezzi di boicottaggio social. Lo scorso febbraio, a ridosso dell’uscita, si è iniziato a fare sul serio.

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Nell’ordine: in seguito alle prime anteprime, l’aggregatore di recensioni RottenTomatoes iniziò a registrare un’invasione incontrollata di stroncature da parte di utenti esterni. L’accanimento (si parlò di 56mila votazioni) fu tale da far precipitare l’algoritmo di “attesa” del film. I moderatori bloccarono gli accessi al sito, ma nel frattempo la certezza (ovviamente immaginaria) che Captain Marvel sarebbe stato rifiutato in massa dal pubblico aveva già preso piede. Su Imdb, 4500 voti 1 affossarono il film prima ancora dell’uscita. Youtube si ritrovò invaso da improbabili video-saggi atti a dimostrare il fallimento completo del disegno Disney-femminista (una clip diventata virale illustrava la maniera in cui il film sarebbe costato ai produttori centinaia di milioni di passivo). Il giornalista di destra Joe Posobiec coordinò l’AlitaChallenge, mobilitando il pubblico americano per recarsi in massa a vedere il film di Robert Rodriguez nel primo weekend di Captain Marvel.

Prima che il grande pubblico potesse rendersene conto, tra gli addetti ai lavori e la massa oscura dei troll senza volto era ripartita una guerra che negli ultimi anni aveva riportato non poche vittime economiche nell’industria dello spettacolo USA. La battaglia tra l’esercito dell’alt-right, e il mondo progressista di Hollywood e delle sue star.

Due weekend dopo l’uscita di Captain Marvel, tutto questo appare come poco più che il ricordo di un tentato scherzo. Il secondo finesettimana segna ora 760 milioni di euro worldwide. In patria, è stato accolto come uno dei migliori debutti non-Avengers dell’MCU. RottenTomatoes ha finalmente “riaperto al pubblico”, mentre Youtube ha modificato il proprio algoritmo per cancellare dalle ricerche associate al film le decine e decine di video-stroncatura pubblicati precedentemente all’uscita. I voti si sono stabilizzati. La stampa gongola: Captain Marvel ha sconfitto i troll. Di più, l’era dei troll sembra già finita.

Reboot, fantasy e Alt-Right: cronistoria

I cenni storici sull’attività del mondo alt-right nel boicottaggio dei blockbuster sono disseminati in questi anni, e quella di Captain Marvel è solo l’ultima della campagne. E’ impossibile aver già dimenticato quanto successe nella primavera del 2016, ai tempi del lancio del Ghostbustes di Paul Feig. Allora, la galassia social repubblicana si scatenò in tutta la sua improvvisa e metodica ferocia, andando sapientemente ad intercettare la frustrazione di un pubblico già maldisposto nei confronti del gender swap.

Il connubio destra-nerdom è un dato di fatto culturale di questi anni, e nella pratica cinematografica del reboot e dei franchise ha saputo trovare l’ambiente ideale per proliferare. Attorno al film di Feig andò a formarsi un autentico ciclone di odio che si mosse ben oltre i confini del cinema, attirando nel dibattito personaggi della sfera politica apparentemente lontani dal mondo del fantasy. Celebre resta il ruolo del guru di Breitbart Milo Yannopoulos nel massacro via Twitter di Leslie Joens (per 48 ore consecutive, si dice), che spinse l’attrice al limite del crollo mentale. Fu la prima, storica vittoria del nuovo “metodo”: il film andò discretamente, ma non seppe sopravvivere alle bordate di disprezzo che ne minarono il cammino. A tre anni dall’uscita, il suo stigma di Caporetto artistico non conosce fine.

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Da lì in avanti la gloriosa strategia (meme ironici, stroncature invasive, attacchi personali nei confronti dei realizzatori) venne riproposta in diverse occasioni. Alla base di tutto l’idea che, montando odio attorno al film, si potesse minarne il risultato economico, e pertanto delegittimarne gli ideali alla base. Da espressione di dissenso il boicottaggio divenne arma propagandistica. Star Wars: Rogue One (natale 2016) fu accusato di anti-americanismo nella sua rappresentazione multiculturale della nave di eroi ribelli; un blando tentativo venne fatto con Wonder Woman (estate 2017), per poi esplodere al massimo della furia con The Last Jedi (natale 2017), un martellamento che portò il disprezzo nei confronti della pellicola a livelli di scontro culturale. Nell’inverno 2018 toccò a Black Panther, per poi riesplodere ancora una volta all’uscita del Marvel Movie dell’otto marzo 2019.

Ma chi compone questo esercito di utenti, così rapido e coordinato nel levarsi all’attacco simultaneo degli odiati SJW di Hollywood? Pensare a una spontanea protesta di fan scontenti non è una lettura che regge. Se l’atto del boicottaggio in sé è ormai introiettato dal pubblico americano con esiti al limite del demenziale (memorabile il tentativo dei fan di Lady Gaga nei confronti di Venom al fine di garantire il massimo incasso a A Star is Born), hacking studiati in questa maniera richiedono l’apporto di molto più che un pugno di fanatici

Prova di forza: il naufragio Star Wars

I profili che periodicamente, in maniera organizzata e quasi militare, attaccano gli algoritmi di RottenTomatoes e invadono Twitter e affini di meme “golardici” (per rifarsi a una terminologia nostrana), furono analizzati in uno studio della University of Southern California ai tempi di The Last Jedi. Ne veniva fuori come oltre il 50% di un campione di 967 tra gli utenti Twitter più attivi, risultasse associato a un sottobosco di profili fake provenienti dalla Russia, attivisti politici di estrema destra e persino semplici bot digitali. Sostanzialmente, più della metà degli indignati da questa o quella svolta liberal di Luke Skywalker risultava manovrato da soggetti interessati. Un disegno atto a fomentare un sarcastico disprezzo del “politically correct” non dissimile da quello che nel 2016 aveva visto un numero fuori controllo di hacker russi invadere la rete americana di meme e fake news a ridosso delle elezioni (molti dei profili attivati allora ritornano ricorrenti nelle misteriose stroncature di questi giorni).

Se mentre qualche anno fa le polemiche contro il whitewashing erano cavallo di battaglia dem, la frontiera attuale dell’indignazione è conservatrice. La battaglia contro l’opinione pubblica, sempre più egemonizzata dal pensiero liberal secondo la prospettiva alt-right (il celebre “marxismo culturale” che è tornato a turbare i sonni di Jordan Peterson), si combatte attraverso il sabotaggio dei prodotti culturali avversari.

Rispetto ai casi sopracitati, Captain Marvel ci dice che qualcosa è cambiato. I numeri parlano chiaro: non solo il film è un trionfo, ma il successo di Brie Larson ha ribadito (dopo il banco di prova già importante del comunque meno osteggiato Black Panther) come gli hater organizzati facciano ormai fatica a penetrare il tessuto del sentire comune e imporsi come forma di pensiero dominante. Quanto successo con Star Wars tra il 2016 e il 2018 può forse darci la miglior prospettiva di quanto ciò fosse facile fino a due anni fa.

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Nel natale 2016 Rogue One, blandamente criticato per la sua estetica inclusiva e progressista, non sembrò aver risentito del malumore sollevato da quelli che sembravano pochi matti. The Last Jedi, l’anno successivo, rivelò la portata dell’attacco in tutta la sua grandezza: un universo nerd grottesco, fomentato da slanci sessisti, razzisti e reazionari in ogni forma, stravolto dal revisionismo applicato alla tradizionalissima saga stellare, aveva preso il controllo del dibattito attorno al film. Come avvenuto l’anno precedente con Ghostbusters, gli hater avevano intercettato e radicalizzato un malcontento preesistente. Il film incassò discretamente, ma il seme del dissenso era ormai piantato.

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I fan, lo zoccolo duro, avevano rifiutato la nuova incarnazione di Guerre Stellari. E quello che pareva il capriccio di pochi, si rivelò in tutta la sua gravità in occasione di Han Solo: A Star Wars Story. Il film è ad oggi il flop Disney forse più clamoroso dai tempi di John Carter (stavolta si, da diverse centinaia di dollari di buco). Le ragioni cercate sono state tante, dalla data d’uscita infelice alla sovraesposizione del marchio, ma la realtà era una: il fandom di Guerre Stellari, per un motivo o per un altro, non si era trovato con il nuovo modello della serie. Il mondo alt-right questo aveva saputo leggerlo, ad era riuscito a politicizzare il dissenso a livello militante. Ad oggi, l’intero progetto spin-off dedicato alla serie è stato abortito.

“Groundbreaking”: la contromossa Disney

Se le operazioni di boicottaggio applicate a Guerre Stellari hanno rappresentato l’apice del metodo, Black Panther e Captain Marvel ne stanno segnando la fine. Cosa è cambiato in quest’ultimo anno, che ha permesso a ben due obbiettivi apparentemente facili (il film black power e quello femminista) di smarcarsi con simile facilità dai bersagli e rivelarsi i successi che sono stati? Al netto di una differenza sostanziale tra i fandom dei due universi filmici (quarantenne, conservatore e tradizionalista per la serie di Lucas, millennial, multi-gender e multiculturale quello di Kevin Feige), queste aggressioni non rappresentano più un vero pericolo. Di più, proprio i due film più sperimentali della Marvel sembrano averne addirittura beneficiato. Merito del team marketing della Disney, ancora una volta rivelatosi l’organo di intelligence più astuto d’Occidente.

Con Captain Marvel è diventato evidente quanto la politicizzazione forzata di un prodotto d’intrattenimento sia arma a doppio taglio. L’approccio pubblicitario legato al film con Brie Larson, in uscita l’otto marzo, corredato da dichiarazioni polemiche contro i “40-year old white male” e presentato (autentico marchio di fabbrica) come groundbreaking… Tutto riporta ad una presa di coscienza della natura militante del prodotto. Che ormai non deve più nascondersi o giustificarsi, ma chiama a raccolta il pubblico proprio in virtù di questo.

Boicottaggi, attacchi e aggressioni varie, mostrate come ferite di guerra, diventano medaglie al valore del film. L’idea è “fargliela vedere”, a questo Altro misogino e razzista in perenne agguato. La Disney ha ormai da tempo interesse a ripulire la propria immagine storica di corporation parafascista, e la gestione del MCU è stata in questo senso geniale: ogni film “diverso” arriva in sala annunciato come evento rivoluzionario, ogni deviazione dai pattern tradizionali è presentata come un atto politico, una bomba carta contro il Sistema.

Tale gioco pubblicitario è ormai talmente scoperto che persino la stampa di settore americana non finge neanche più, teorizzando la necessità di sostenere tali film al solo scopo di provare un “punto”. Captain Marvel, o Black Panther o The Last Jedi, non saranno un granché, ma trovano il proprio valore in virtù di ciò che rappresentano nei confronti degli estremisti avversari. E mentre le produzioni mainstream si fanno sempre più fieramente progressiste, la destra alternativa reagisce con sempre maggiore aggressività, riaffermando involontariamente la dimensione “rivoluzionaria” di quegli stessi prodotti che vorrebbero danneggiare.

Ed ecco che, solo tre anni dopo il collasso dei Ghostbusters femminili, quegli stessi professionisti dell’odio si sono ritrovanti impotenti di fronte ai supereroi. Captain Marvel ha trionfato a livello mediatico prima ancora che economico. Sarà cambiato il sentire comune, saranno cambiate le piattaforme di riferimento, sarà cambiata la strategia di reazione. O più semplicemente, come tante altre campagne propagandistiche, il pubblico ha smesso di cascarci. Ed ecco che 56mila tra bot e profili fake si sono riscoperti per la prima volta incapaci di parlare alla gente.

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