The Report – Recensione del film di Scott Z. Burns

La nostra recensione di The Report di Scott Z. Burns, film d'inchiesta con Adam Driver disponibile sulla piattaforma Amazon Prime Video

Adam Driver in The Report recensione
Adam Driver in The Report
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The Report è disponibile dal 29 novembre su Amazon Prime Video

A tredici anni dal suo film per la televisione Plutonio 239, Scott Z. Burns firma quello che si può considerare a ragion veduta il suo esordio registico. Nonostante la distribuzione limitata alle piattaforme streaming, infatti, The Report dimostra intenti artistici più affini al linguaggio cinematografico. Questo gli ha permesso di viaggiare da un festival all’altro, fino alla recentissima presenza alla Festa del Cinema di Roma.

La lontananza in questi anni dalla director’s chair ha però permesso a Burns di esprimersi al meglio come sceneggiatore, instaurando un sodalizio con Steven Soderbergh che copre un decennio di pellicole. Dalla prima The Informant! quest’anno ha scritto per l’amico regista la sceneggiatura di The Laundromat-Panama Papers, un brillante gioiello di satira che riflette sul cinema reinterpretando la forma del film d’inchiesta.

Un meccanismo cinematografico ad orologeria, che guarda con ispirazione a grandi autori del cinema americano. Il riferimento di Soderbergh è senza ombra di dubbio il cinema di Pakula, che però in The Laundromat lascia spazio a echi altmaniani: la costruzione grottesca e surreale della narrazione, il pullulare di comparse, trame e personaggi secondari, nonché la riflessione stessa sul cinema rimandano con la memoria ai grandi affreschi di Robert Altman, da Nashville ad America Oggi.

Giungendo al polo diametralmente opposto, Burns si riallaccia invece proprio al lato più severo della New Hollywood di Pakula, alla compostezza visiva e narrativa di un certo cinema americano. Così The Report sceglie un approccio completamente diverso, caratterizzato da un rigore granitico.

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The Report
Adam Driver in The Report

The Report si inserisce in precisi filoni del cinema contemporaneo

Al crocevia, per la precisione, tra due tronchi tematici consistenti. Da un lato infatti abbiamo la moltitudine di opere dedicate agli attentati dell’11 settembre, che attraversando i generi hanno portato sul grande schermo rappresentazioni e ricerche della verità su quel giorno nefasto. Dall’altro lato abbiamo i film d’inchiesta, di cui Il Caso Spotlight e il recente The Post sembrano aver causato un inaspettato revival.

Così il parente più prossimo di The Report è sicuramente Zero Dark Thirty, del quale la pubblicità passa in televisione in una scena. Il registro scelto da Burns è quindi collimante col documentario, basandosi su un realismo e un’asciuttezza narrativa ridotta ai minimi termini. Se infatti The Laundromat era un’occasione per riflettere sul medium linguistico del cinema, The Report rinuncia a tutta questa componente cinematografica e meta-cinematografica, per adottare un punto di vista asettico e totalmente oggettivo.

Questo si riflette in un comparto visuale che, ancora, non può che richiamare alla mente film come Tutti gli uomini del presidente. La fotografia degli interni, livida e claustrofobica, non lascia mai spazio a vedutismi o campi lunghi, eccezion fatta per l’ultima, eloquente, inquadratura. Nonostante questo, Burns e il suo direttore della fotografia Eigil Bryld dimostrano un attenzione alla composizione delle immagini che mantiene sempre alto lo standard visivo del film.

Allo stesso modo, narrativamente sceglie una linearità al limite con il didascalico.

Una precisa scelta poetica quella di Burns, di ricostruire quasi morbosamente, pedissequamente, la vicenda di Daniel Jones e della sua ricerca infaticabile della verità. La storia, inquadrata secondo precise scansioni temporali, si fa forte del contributo di Adam Driver, capace di tenere in tensione tutto l’arco narrativo.

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Ed è senza dubbio lui il protagonista indiscusso di un dramma tutt’altro che corale. Spariscono le moltitudini altmaniane di The Laundromat, sparisce quell’ansia di identificazione mimetica con i personaggi storici del recentissimo Vice. Rimangono solo presenze quasi spiritiche, macchiettistiche, ridotte ad archetipi delle specie politiche che portano in scena. Si muovono sul fondale del grande melologo di Adam Driver, senza dubbio uno degli attori del momento: nonostante il ruolo verboso, confeziona comunque una recitazione profonda.

Un film che la critica americana non ha tardato a definire necessario, dimostrando onestà e senso critico nei confronti di un film estremamente integro e preciso. Come critico è il punto di vista del film nei confronti del baluardo della grande democrazia americana, messa in discussione abilmente nei suoi punti più deboli e oscuri. Un’opera convincente, che non scende a compromessi con la teatralità della messa in scena per offrire uno scorcio limpido su una ferita ancora aperta della storia recente.

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