Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità: la recensione del film con Willem Defoe

"Io sono lo spirito santo. Io sono santo di spirito." Vincent Van Gogh

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Dopo il successo dell’anteprima internazionale a Venezia 75 e la Coppa Volpi per il Migliore Attore assegnata a Willem Dafoe, arriva al cinema dal 3 Gennaio Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità: sesto lungometraggio del pittore newyorkese Julian Schnabel.

Le incursioni di Julian Schnabel nel territorio dell’arte cinematografica presentano sempre un’idea d’immortalità. Ne 1996 Schnabel firma Basquiat, film che celebra ascesa e caduta di Jean-Michael, della Factory e una certa idea di Manhattan, che sembra morire con loro. Al centro ci sono ovviamente le complesse dinamiche d’amore e odio tra Basquiat e il suo mentore, Andy Warhol. In queso caso, il miracolo della trasfigurazione è affidato a David Bowie: gelido e impeccabile nella parte del divino Warhol. Ora, con il 2018, arriva il turno di Willem Defoe.

Certo: l’attore e l’artista presentano una somiglianza fisica al limite dell’assoluto. Ma oltre l’apparenza e l’immagine, Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità mira direttamente alle radici dell’Arte contemporanea: lontano dalla società e dagli uomini, lontano perfino dal ‘900, dove un uomo solo cambia per sempre la nostra percezione di realtà e bellezza, cambiando così il corso della Storia.

Van Gogh - Sulla soglia dell'eternità

Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità non è il primo film dedicato al genio e al tormento di Vincent Van Gogh. Forse credevamo di sapere tutto sulla sua vita: Vincent infatti ha scritto migliaia di lettere, descrivendo nel dettaglio incubi e illuminazioni. Dalle lettere, indirizzate soprattutto all’amato fratello Théo, conoscevamo la sua visione del mondo, la vocazione mistica che l’ha condotto alla pittura, ma anche la sua condanna: parlare un linguaggio incomprensibile al suo tempo. 

Dall’ultima lettera a Théo inizia il viaggio di Loving Vincent: film di animazione del 2017, che racconta Van Gogh attraverso 100 capolavori e 65.000 fotogrammi dipinti su tela. Del 1990 è invece Vincent & Theo di Robert Altman: mentre Tim Roth incarna genio e sregolatezza del pittore, il regista di Nashville e America Oggi sembra interessato soprattutto al fratello. Ovvero: l’uomo che non sa sconfiggere la follia e la morte, ma salva i dipinti e li consegna all’eterno.

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Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità di Julian Schanabel si inserisce in una tradizione di lungo corso, eppure resta un’opera irriducibile, diversa da tutte le altre . Le cure di Théo, la bellezza violenta della natura, la crudeltà degli uomini e il demone stesso dell’ispirazione: per la prima volta, vedremo tutto attraverso gli occhi di Van Gogh-Willem Dafoe. 

Il riferimento agli occhi per altro è riduttivo : Van Gogh – Sulla Soglia dell’eternità non è un film costruito solo sulla soggettiva del protagonista. L’esperimento di Willem Dafoe, del regista Julian Shnabel e dello sceneggiatore Jean-Claude Carrière è decisamente più estremo.

Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità racconta gli ultimi anni di vita del pittore: incapace d’integrarsi a Parigi, cerca rifugio nella campagna francese, nella piccola comunità di Arles, che non saprà comunque accogliere la furia del genio. Attraverso Willem Defoe scopriremo un punto di vista alternativo alla biografia del pittore: dall’orecchio reciso al giorno della morte, che non sarebbe avvenuta per suicidio. 

La sceneggiatura del film Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità scardina e distrugge miti e leggende intorno al pittore: cerca la verità più cruda sulla sua vita, compresi gli aneddoti più oscuri, nascosti tra le pieghe della storia.

Tra questi, c’è anche un giovane e spietato Paul Gauguin (Oscar Isaac): in lui Van Gogh cercherà inutilmente un alleato e un amico, capace di rompere il muro della solitudine, trasformare la miseria dell’esistenza in un incanto continuo, fatto solo di ispirazione e pittura.

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Julian Schnabel costruisce il film su studi, scoperte e interpretazioni recenti, eppure conserva un riferimento imprescindibile: il saggio di Antonin Artaud del 1947, “Van Gogh, il suicidato della società”

Willem Defoe diventa così il corpo, lo sguardo e il volto di una ferita insanabile: quella di un uomo rifiutato da tutti, assediato da violenza e disperazione, eppure consapevole del suo destino.

Quel destino crudele che all’odio dei contemporanei risponderà con la devozione dei posteri.

Il Van Gogh di Willem Dafoe vive isolato, scacciato dai compaesani e bersagliato dai bambini; provvede in prima persona a tormentare sé stesso, abusando di alcool e assenzio. Eppure, lo stesso uomo ha scoperto un’inesauribile fonte di pace: immergersi nel panorama e nella pittura.

Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità porta lo spettatore a contatto diretto con entrambe le dimensioni: la brutalità del reale, il miracolo di una bellezza bizzarra e straniante. Il regista sceglie l’uso massiccio della camera a mano, deforma inquadrature e prospettiva con ogni mezzo, lecito e illecito: perde il fuoco, abusa del grandangolo e della sovraesposizione.

Fino al tragico epilogo, Defoe resta il cuore pulsante del film. Come nel caso di Requiem for a dream, il protagonista supera il limite estremo, e prende fisicamente in carico la steady-cam. 

Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità si rivela così un’esperienza totalizzante, dove il corpo dell’attore domina l’inquadratura, costruisce il racconto e conduce lo spettatore in un dramma senza tregua.

Speranza e delirio, sublime e sconfitta: questi e infiniti altri conflitti si agitano nei primi piani di Willem Defoe.

In attesa dei Golden Globes 2019, il suo Van Gogh resterà comunque un’interpretazione epocale: una sfida anche all’ipocrisia del presente.

Van Gogh - Sulla soglia dell'eternità