Beetlejuice, Beetlejuice la recensione del film di Tim Burton
Beetlejuice, Beetlejuice fuori concorso all'81esima edizione del Festival di Venezia, torna dopo 36 anni con lo "spiritello porcello" creato da Tim Burton. Nelle sale italiane dal 5 settembre 2024.
Beetlejuice Beetlejuice non delude e anzi rilancia. Tim Burton torna dopo più di trent’anni sulle scene con il suo spiritello “politicamente scorretto” e sembra non aver perso lo smalto. Cast affiatato e un Michael Keaton gigantesco, un film che potrebbe valere al regista il secondo Oscar. Qui la nostra recensione.
Beetlejuice Beetlejuice, La Trama
Dopo un’inaspettata tragedia familiare, tre generazioni della famiglia Deetz tornano a casa a Winter River. Ancora ossessionata da Beetlejuice, la vita di Lydia viene sconvolta quando la sua ribelle figlia adolescente, Astrid, scopre in soffitta il misterioso modello della città e il portale per l’Aldilà viene accidentalmente aperto. Con problemi in agguato in entrambi i mondi, è solo questione di tempo prima che qualcuno dica il nome di Beetlejuice tre volte e il dispettoso spiritello torni a scatenare la sua personalissima versione del caos…
Beetlejuice Beetlejuice, La Recensione
“Beetlejuice, Beetlejuice, Beetlejuice!” Lo ripetiamo tre volte – anche se non si dovrebbe – nella speranza che Tim Burton decida di proseguire con il terzo capitolo della serie. D’altronde la fine del film, tra gli incubi del suo ritorno e una prole sui generis fa ben sperare. Arriva con il sorriso in conferenza stampa a Venezia 81, Tim Burton, consapevole di essersi ritrovato.
“Era un bel po’ di tempo che non mi sentivo così. Ultimamente sono rimasto molto deluso dall’industria cinematografica, mi ero un po’ perso. Ho sentito l’esigenza di fare qualcosa che uscisse da cuore, e questo si riesce a fare sono con le persone che ami”. Nessuna questione di budget o di denaro quindi, ma una semplice chiacchierata tra amici ( Michael Keaton e Winona Ryder) che hanno accettato con entusiasmo l’idea di questo ennesimo salto nel vuoto.
Il film è stato girato con lo stesso spirito del primo e più o meno negli stessi tempi, ma come affermato dallo stesso regista con la necessità di una nuova caratterizzazione e improvvisazione da parte dei personaggi. I protagonisti infatti sembrano evolvere in modo organico negli anni, tanto da avere la sensazione di averli lasciati ieri.
Sono però più maturi, definiti ed emotivi, e il fascino di Michael Keaton – che già era apprezzabile trent’anni fa – cresce in maniera esponenziale. Il suo essere irriverente, arrogante, seducente, stordisce il pubblico e lo trascina con forza nella sua direzione. Un po’ Jim Carrey in The Mask (non a caso la scena degli occhi sporgenti lo richiama), un po’ Jack Nicholson in Batman (di cui non a caso Michael era l’ eroe alter ego), la performance di Keaton è – ancora una volta – da Oscar.
Alla sapiente arte e all’inquietante simpatia tra il regista e il protagonista (della serie attenti a quei due) si uniscono vecchie e talentuose nuove leve (una ritrovata Winona Ryder, Catherine O’Hara a cui si aggiungono la “scientifica” Jenna Ortega, Willem Dafoe e la perfida Monica Bellucci).
Con il personaggio di Dolores, ex moglie di Beetlejuice (Monica Bellucci) Tim Burton costruisce un interessante mix di malvagità che ricorda un po’ le celebri streghe delle favole, un po’ la Morticia Addams di Anjelica Huston e Barry Sonnenfeld. Iconica anche la scena della “ricomposizione del corpo” attraverso le cicatrici, un velato tributo – o celato riferimento – a “La morte ti fa bella” (Death becomes her) del 1992, diretto da Robert Zemeckis con Meryl Streep e Goldie Hawn.
Un film ancora più impattante rispetto al primo che invita ad andare oltre la risata, ragionando anche sul senso del tempo e delle relazioni. “Voglio chiudere con il passato, preferisco costruire dei nuovi ricordi più che esserne perseguitata” dirà Winona Ryder alle prese con la liberazione dallo spiritello demoniaco ultraterreno, nell’affermazione della sua nuova vita. E poi la scena finale in chiesa, in cui tutti vengono risucchiati non tanto da Beetlejuice, quanto dall’ossessione e narcisismo della propria immagine riflessa sui cellulari. Lo spirito che ha guidato Tim nella sua realizzazione dunque è stato prettamente istintivo: con uno sguardo al passato, ha saputo raccontare il presente.
“Fare un film con Tim Burton significa entrare nel suo mondo e condividerne le idee, è energia pura” sottolinea in conferenza Willem Dafoe, scelto per il ruolo del segugio Wolf Jackson dopo il successo del Dr.Godwin Baxter in Poor Things.