Dunkirk – La storia vera che ha ispirato il film di Nolan

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Dunkirk è considerato il film più compiuto e maturo di Cristopher Nolan.

Superando alcune debolezze che tanto dividono il pubblico di appassionati, è riuscito a servire una sceneggiatura più asciutta senza tuttavia rinunciare alla sua poetica. Attraverso chiavi di lettura già esplorate in altre opere, ha dipinto un grandioso affresco della guerra e della speranza. L’esperienza del tempo, tema già caro a Nolan da film come Inception Interstellar, diventa qui il criterio narrativo principale. Tre traiettorie temporali ambientate in tre sfere spaziali diverse e fatalmente convergenti al molo di Dunkerque.

Il tempo e lo spazio sono quindi le due dimensioni su cui la narrazione si muove. In questo intreccio si contrappongono le storie isolate dei protagonisti, lontani in cieli e mari sconfinati, a quella del dramma corale della pericolosa operazione di evacuazione. Così il coraggio dell’atto individuale diventa il momento dialettico della paura collettiva. Nolan analizza l’assurda esperienza della guerra in modo non convenzionale rispetto al genere, non rappresentando in maniera diretta il conflitto e la vittoria. Come in molti altri film analoghi, però, cala delle storie di finzione nella lettura di un evento storico.

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La storia da cui Dunkirk prende vita è ambientata nel 1940.

Siamo nel pieno della fase più offensiva dell’esercito tedesco, durante la II guerra mondiale. L’esercito inglese, intervenuto nel continente per riparare alla disfatta francese, è stato obbligato alla ritirata verso nord. Il primo ministro inglese Winston Churchill, temendo l’invasione nazista, richiamò il suo esercito sull’isola. La rischiosissima missione di evacuazione del territorio francese passerà alla storia come “Operazione Dynamo”. Un’operazione di recupero d’emergenza, confusionaria, ma necessaria per mantenere illesi i confini dell’Inghilterra.

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Joshua Levine ha approfondito, in un lungo saggio intitolato Dunkirk, il rapporto tra questa pagina della guerra e l’opera di Nolan. Un’analisi ricca e dettagliata di quei mesi, della vita quotidiana e della cronaca della battaglia, che cerca di spiegare le scelte autoriali di questo film. Il racconto di Levine ci permette di considerare in maniera più oggettiva un episodio tanto cruciale quanto sconosciuto del conflitto mondiale. Anche L’ora più buia, film dello stesso anno con un Gary Oldman da Oscar, è ambientato in quegli anni, ma ci racconta, lontano dalle coste francesi, la prospettiva politica di una grande sconfitta.

Entrambi però rivestono con una patina di gloria una parentesi buia della II guerra mondiale.

In entrambi i film la ritirata è motivo di orgoglio. Le barche inglesi che attraversano la Manica per salvare i militari, la fermezza di Churchill acclamato dalla nazione, lo sguardo dei soldati che rientrano a Londra. L’episodio assume connotati umanitari e commoventi, ma la storia dice anche altro. Dopo la frettolosa e complessa fuga da Dunkerque, il conflitto volgeva a favore della Germania. Anzi, si pensava addirittura che sarebbe giunto presto ad una conclusione. Pochi giorni dopo la fine dell’operazione Dynamo, infatti, la Francia firmava la resa con i tedeschi.

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Dunkerque è diventato nell’inglese di oggi un’espressione per indicare la fuga vittoriosa da una situazione complessa. All’epoca però di vittorioso c’era ben poco. La ritirata verso l’isola segnava la fine della repubblica francese. Le cronache dell’epoca parlano addirittura di un vero e proprio abbandono da parte dell’esercito inglese nei confronti dell’alleato. Quando Charles de Gaulle, da Londra, cercava di chiamare a raccolta le truppe attraverso il famoso discorso del 18 giugno, la Francia stava per arrendersi ai tedeschi. Il 29 giugno Pétain firmava l’armistizio con Hitler, mentre l’Inghilterra rimaneva in guerra e quindi riorganizzava la difesa.

Dunkirk è il racconto glorioso di una sconfitta.

Nolan riesce a creare un lavoro magnifico, in cui le storie soggettive rispecchiano la confusione e la complessità dell’operazione Dynamo, che ha frammentato la tragedia collettiva in tante piccole e terribili esperienze individuali. Tecnicamente magistrale e strutturato in maniera esemplare, non ha però la pretesa di essere un film storico, e in questo forse risiede il suo unico grave peccato. Nolan romanza uno snodo fondamentale della guerra rovesciandone il carattere. Una fuga, quasi codarda e certamente nefasta per le sorti dell’Allenza, che diventa invece l’esemplificazione del trionfo. La riuscita dell’operazione corona le tre traiettorie del film e ne rappresenta in un certo senso il lieto fine. Forse allora, l’unico peccato di questo film è il suo più grande prestigio: l’aver volto una sconfitta in una vittoria.