The Other Side of The Wind: Recensione dell’Opera Omnia di Orson Welles

Netflix distribuisce un capolavoro perduto: The Other Side of The Wind è un opera sperimentale e surreale che tratta del mondo del cinema.

The other side of the wind recensione
Condividi l'articolo

Dopo più di quarant’anni nel cassetto, ritorna alla luce The Other Side of The Wind, opera ultima e – in un certo senso – opera omnia di Orson Welles. La storia del lungometraggio è varia e travagliata, in parte avvolta da miti e leggende. Girato in ben sei anni, The Other Side of The Wind non vide mai la luce a causa del rapporto conflittuale del regista con i suoi produttori.

La carriera di Orson Welles è stata segnata, sin dalle origini, da progetti fatti e pensati ma mai realizzati, e probabilmente il film distribuito da Netflix (disponibile dal 2 Novembre in Italia) ne è l’emblema.

The other side of the wind recensione

La narrazione del film si sviluppa in circa 24 ore: il regista Jake Hannaford (John Huston) viene trovato morto a bordo della sua auto, una voce narrante (in origine quella di Welles, ma in definitiva quella di Peter Bogdanovich) insinua che l’incidente sia in realtà un omicidio.

Grazie ad un enorme salto narrativo, la scena si sposta sul set dell’ultimo film di Hannaford, l’omonimo The Other Side of The Wind. Il film è quasi completo ma, il tentato suicidio del protagonista e la ritrosia dei produttori nel finanziarlo, bloccano il completamento del lavoro.

La maggior parte del film è ambientata a casa di Hannaford, dove si festeggia il suo compleanno insieme ad esponenti del mondo di Hollywood. Qui si proiettano gli spezzoni del nuovo film, mentre il regista cerca di concludere – durante la sua ultima notte in vita – il film.

In The Other Side of The Wind c’è l’anima sperimentalista e surreale di Welles

Il film è considerabile come un’opera omnia in quanto è uno dei punti più alti dello sperimentalismo del regista americano. The Other Side of The Wind è un immenso labirinto: più ci si spinge in avanti, più si perde la luce dell’uscita. Il film omonimo che Hannaford sta preparando viene proiettato a più riprese e diventa parte integrante delle vicende dei personaggi, intenti a ostentare la loro ipocrisia in un evento mondano.

LEGGI ANCHE:  Orson Welles: quando scatenò il panico con la Guerra dei Mondi in radio

Le interruzioni della proiezione per gli ospiti dovute a momentanei black-out sono un espediente formidabile per fondere le vicende di The Other Side of The Wind alla festa a casa di Hannaford. Quello che gli ospiti vedono è un lavoro di un’estetica meravigliosa: un gioco di luci, ombre, silenzio e sesso che – pur non avendo una trama – colpisce lo spettatore come se stesse guardando un film vero.

The other side of the wind recensione

Contemporaneamente la festa di Hannaford, che Welles racconta con bellissimi primi piani e il “marchio di fabbrica” delle riprese dal basso, si svolge in un contesto surreale. Il vecchio regista è circondato da amici, opportunisti, detrattori, documentaristi e giornalisti che riprendono in maniera ossessiva il ricevimento.

Il corpo del film alterna riprese a colori a riprese in bianco e nero. Molto probabilmente – il film è molto oscuro in questo passaggio – le riprese in bianco e nero sono ad opera dei documentaristi che cercano a tutti i costi di riprendere i retroscena e le conversazioni private; mentre le parti a colori fanno parte della narrazione principale.

The Other Side of The Wind: una narrazione complessa

I piani narrativi di The Other Side of The Wind sarebbero quindi tre: narrazione, riprese dei documentaristi e film proiettato. Grazie ad un montaggio frenetico – non del tutto curato da Welles – i confini tra i tre sono veramente inafferrabili. A confondere sono anche i dialoghi, prima vacui e poi provocatoriamente nonsense.

LEGGI ANCHE:  8 grandi film rovinati dai tagli degli studios

Il regista Hannaford, quasi sicuramente alterego di Orson Welles vista anche la carica sarcastica del personaggio, passa da uno stato di sardonica calma ad una follia incontrollata. Nell’ultima fase del film, i dialoghi diventano quasi insopportabili, un confuso botta e risposta con voci che si sovrappongono. Emblema di ciò è l’intervento improvviso di un giovane operatore di camera, durante una discussione, che chiede quale sia la differenza tra zoommata e carrellata.

Colpisce molto anche la colonna sonora: un continuo tappeto jazz cammina sotto i piedi dei protagonisti. L’insistenza della colonna sonora diventa quasi molesta e nauseante nell’ultima mezz’ora di film, come lo diventa l’aria perbenista, altrettanto nauseante, che la festa assume.

The Other Side of The Wind (sia quello di Welles, che quello fittizio di Hannaford) è un film rivoluzionario che rompe volontariamente le regole della cinematografia e scandalizza lo spettatore. Welles anticipa molta della cinematografia contemporanea sotto diversi aspetti, è quindi inutile proporre paragoni con film successivi a questo.

L’opera è la dimostrazione, soprattutto, di come la filologia possa entrare nel cinema, restituendo un prodotto frammentario in modo da arricchire la già formidabile opera cinematografica di Orson Welles che dal suo primo film – Quarto Potere – non ha mai smesso di innovare e regalare nuova linfa alla settima arte.