Latina torna a Calcutta al Francioni

Latina ha accolto il ritorno del figliol prodigo, il cantante Calcutta è riuscito nell'impresa di organizzare un evento che ha raccolto oltre 15mila persone

Calcutta
Lo stadio Francioni, dove si è svolto il concerto di Calcutta il 21 luglio
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Latina torna a Calcutta, ovvero la mobilitazione di un capoluogo che ha accolto come doveva il cantante natio, all’anagrafe Edoardo D’Erme

Una simpatica esperienza condita da alcune belle sorprese, tra cui la fascia in omaggio con il biglietto all’entrata nello stadio Francioni di Latina. Calcutta va visto dal vivo, è un imperativo categorico. Un po’ come tutti gli artisti, per conoscerli occorre vederli su un palco.

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La sera del 21 luglio al Francioni sono andati in scena due identità di uno stesso cantante: la prima, quella che tutti abbiamo conosciuto nei dischi, usciva fuori non appena gli strumenti iniziavano a suonare. Forte, chiara (plauso ai tecnici) che ha riempito in pochissimo tempo lo stadio. La seconda identità, completamente diversa; un “pacioccone” che saluta la nonna da sopra il palco (che non era presente allo stadio ma abitava vicino). La richiesta di uno “Ciao nonna, tutti insieme” al pubblico accorso ad ascoltarlo.

Due personalità che vanno a scontrarsi tra di loro poiché la prima è quella che riesce ad insinuarsi nei meandri della mente e, citando Claudia Rossi de Il Fatto Quotidiano, a scandagliare il subconscio dal quale l’autore prende le parole che compongono i suoi testi. Testi amati dal pubblico che, con soltanto due album gli hanno consentito di conquistare il Francioni e l’Arena di Verona. La seconda invece è quella che vede un ragazzo quasi trentenne con un successo cadutogli tra “capo e collo”. Lui, che sempre a Il Fatto Quotidiano ha dichiarato di essere un po’ fuori rotta. Di non riuscire a capire che cosa stia succedendo, di “imparare a capire i social e le interviste”. Lui che diceva di essere un pirata quando, insieme ad un gruppo di amici musicisti giravano l’Italia andando a suonare ovunque: dai bar ai pub, passando per case private e garage.

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Dentro al live

La scaletta suonata al concerto ha soddisfatto le più rosee aspettative. Una scaletta scelta con cura, perfetta, che ha mischiato vecchi pezzi (Mainstream) e nuovi (Evergreen) e che hanno incantato il pubblico. Ogni brano, da Frosinone, ad Hubner passando per Cosa mi manchi a fare fino a Limonata e Kiwi erano accompagnati da un video su schermo che rendeva ancor più artistica e creativa la canzone. Creativa per l’appunto, perché proprio di creatività si parla.

Nel vedere Calcutta cantare, un ragazzetto bassino che quasi stonava con la grandezza del palco, e vedere quei video che scorrevano sopra di lui era come se quegli stessi video si liberassero/librassero dalla sua mente e raggiungessero lo schermo, fino ad appiccicarsi su quella tela digitale. Un pulviscolo di colori, spesso tematici (Kiwi Limonata). Una band composta da batterista, chitarrista, tastierista, forse un deejay, bassista e un coro di voci femminile che Calcutta ha detto di aver conosciuto in uno chalet in Trentino.

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L’emozione nel cantare Pesto 

Il concerto si è concluso con Pesto, su schermo sono passate varie insegne di vari negozi di Latina con il testo della canzone. È stato emozionante riconoscere posti visitati, come il kebabbaro vicino lo stadio e l’innata “inadeguatezza” di Edoardo ad un ruolo che nessuno aveva previsto ma di cui nessuno si accorgerà, un po’ come canta egli stesso in Rai in cui ricorda l’ospitata a “Quelli che…” dicendo “Chissà se mi riconoscerà sul divano il mio gatto“. Come se soltanto gli animali siano in grado di osservare, mentre agli esseri umani viene garantito soltanto il vedere in questo mondo che va troppo veloce anche per una persona a cui a dieci anni è stata tolta la televisione dalla madre ed è stato portato a teatro.

“[…] mi accorgo sempre di più che giornali e televisione hanno dei codici. Spesso finisco un’intervista e vedo che l’intervistatore è insoddisfatto: la mia non è riluttanza, o cattiveria. È solo che sto cercando di imparare. E poi è una questione di empatia.” Calcutta a Il Fatto Quotidiano.

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