Musica e film – Blow-Up

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A metà anni ’60 Michelangelo Antonioni, con la fedele Monica Vitti al seguito, si trasferisce a Londra. Quella in cui arriva è la famosa Swinging London. La Londra dei Beatles, di Mary Quant, e anche di James Bond. Una Londra alla moda, nella quale le spinte della controcultura si coagulano in tendenze giovanili.

Trovandosi immerso in questa atmosfera, Antonioni ne vuole catturare l’essenza. E lo fa dando spazio, nel suo film, alla musica più moderna. La composizione della colonna sonora viene affidata ad Herbie Hancock, giovane stella del jazz americano appena giunta al successo con l’album Maiden Voyage. Nel film, Hancock declina abilmente il proprio stile verso il pop/rock inglese componendo brevi frasi musicali di accompagnamento. Che però, come vedremo, hanno un ruolo limitato.

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Se infatti a primo impatto la scelta delle musiche può sembrare dovuta alla necessità di una efficace contestualizzazione, basta guardare meglio per capire che non è tutto qui.

L’opera autoriale di Antonioni è molto complessa. Studiando la sua filmografia si scopre quanto importanti sono, nei suoi film, i silenzi e rumori di fondo.

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Per esempio ne L’avventura (1960), si ritrovano vere e proprie partiture “suonate” da strumenti come le onde del mare o il frinire delle cicale. Il suo storico compositore di fiducia, Giovanni Fusco, segue sempre uno stile minimale ed estremamente discreto. Anche da qui giunge la famosa “alienazione” da sempre legata ai film di Antonioni.

Venendo a noi, in Blow-Up, Antonioni intende gettare sulla Swinging London uno sguardo freddo, distaccato. Semplicemente, l’alienazione nell’Italia moderna di La notte (1961) o Deserto rosso (1964) viene qui trasferita nel nuovo centro culturale del mondo: Londra, appunto.

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La musica pop, rock e jazz, forme musicali se vogliamo “impure”, sono tanto effimere quanto lo è il mondo della moda nel quale lavora il protagonista del film.

Per esempio, nella famosa sequenza iniziale degli scatti fotografici, la musica di sottofondo viene chiamata, diegeticamente, dallo stesso protagonista, ed ha l’unico scopo di creare l’atmosfera sensuale, cioè artificiosa. Terminato il servizio fotografico, anche la musica di Hancock prontamente si interrompe.

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Nello stesso modo, il binomio musica/artificiosità ricorre per tutto il film. E le fonti da cui proviene sono quasi sempre diegetiche, a riprova del fatto che in questo film l’universo musicale è fittizio quanto lo è quello testuale (ossia: ciò che accade, la trama).

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Per meglio dire: il mondo in cui vive il protagonista è costruito, fittizio, nonchè immorale. Una società e una cultura piena di ipocrisie e continue contraddizioni create dall’uomo, cosa che la musica che proviene da radio e dischi non manca di sottolineare: viene dalle macchine, è artificiale, non reale.