Ode ad Andrej Tarkovskij, lo Zar di Russia

Andrej Tarkovskij, il poeta dell'immagine e l'autore della malinconia. Uno dei registi più ecclettici della storia ed un vero genio dell'arte.

Andrej Tarkovskij
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L’immagine può diventare verbo ed infine poesia, trascendendo il testo e la forma scritta. Deve poter raccontare una vita intera anche solo attraverso un singolo istante, reso poi immortale dalla macchina da presa. Il cinema è questo, nella sua più primordiale essenza. Un’arte che va oltre il superfluo, che è capace di sintetizzare varie epoche ed esistenze attraverso pochi fotogrammi di breve durata.

Oggi, nell’epoca delle immagini, Andrej Arsen’ evič Tarkovskij riesce ad essere ancora estremamente attuale ed evocativo.

Le parole stanno lasciando sempre più posto a costrutti visivi, capaci di sostituirle e rappresentarle in modi più concisi ed immediati. Il regista russo, con le sue opere, faceva esattamente questo. Era in grado di riversare la propria poetica all’interno delle sequenze che realizzava, rendendole strofe di pura malinconia ed umanità. Immagini capaci di comunicare con lo spettatore attraverso linguaggi non-verbali, distanziando le sue opere dai classici metodi di fruizione dell’epoca.

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Se in Italia, più o meno nello stesso periodo storico, Michelangelo Antonioni incominciava a realizzare quei costrutti visivi evocativi, simbolo di un’alienazione sociale sempre più invadente, Andrej Tarkovskij invece cercava di formulare risposte a dilemmi più universali e spirituali. Due artisti piuttosto simili nelle impostazioni, che a loro modo sono stati in grado di rivoluzionare la concezione di arte, dando vita ad un nuovo modo di intendere e di fare il cinema.

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“Antonioni fa parte della ristrettissima schiera di cineasti-poeti che si creano il proprio mondo, i suoi grandi film non solo non invecchiano ma col tempo si riscaldano” – Andrej Tarkovskij

Inconsapevolmente, Andrej Tarkovskij, andando a parlare del cineasta (probabilmente) più influente della sua epoca, descriveva non solo se stesso. ma anche il suo modo di vedere le cose. Un’artista che grazie alla sua sensibilità è stato in grado di spaziare attraverso i vari generi, incentrando le sue opere sulla ricerca umana e su quel bisogno insito in ognuno di noi di soddisfare il proprio io. Quel spasmodico viaggio dell’illusione, attraverso ricordi e riflessi, nella speranza di raggiungere una felicità tanto astratta quanto beffarda. Uno stadio spirituale che il regista idealizzava, attraverso una sorta di poetica leopardiana, relegando i suoi personaggi ad odissee senza meta e segnate dal dolore. La guerra, il progresso tecnologico, l’infanzia e i tormenti dell’animo, hanno trovato sempre dimora sia nella sua filmografia, che nella sua vita personale.

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Un uomo estremamente malinconico, che ha saputo realizzare capolavori universalmente riconosciuti come: Andrej Rublëv, Solaris e Stalker. 

Film eccezionali non solo per la profondità del messaggio, ma anche per la loro costruzione scenica e visiva. Vere e proprie esperienze sensoriale ed intellettuali, che sconfinano dal loro genere di riferimento per andare ad analizzare l’uomo e l’universo in cui si trova coinvolto.

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“Il film, quando non è un documentario, è un sogno. È per questo che Tarkovskij è il più grande di tutti.” – Ingmar Bergman

E con queste parole, Ingmar Bergman, descriveva magnificamente uno dei più grandi cineasti di sempre. Un’autore che deve essere obbligatoriamente conosciuto da tutti, non solo per la sua importanza storica, ma anche per la magnificenza delle sue opere.

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