Monografia Refn: Solo Dio perdona – Recensione

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“MEETING THE DEVIL”

Vado a incontrare il diavolo. A dirlo è Billy, fratello di Julian, protagonista di Solo Dio perdona, prima di farsi ammazzare e dare così inizio alla storia. Una frase che, isolata dal film, riesce a farsi metafora del percorso del proprio autore.
Facciamo un passo indietro.
Il successo di Drive aveva reso per Refn ogni pasto tale a quello del Giorno del ringraziamento. I 76 milioni di dollari incassati e il premio di miglior regista a Cannes 2011 hanno trasformato Fear X (e gli altri) solo in un brutto ricordo, permettendo finalmente al danese di far avverare il proprio sogno: tornare famoso dopo Pusher (1996). Il timido e impacciato Nicolas, ora diventato autore importante, aveva trovato nel suo film n.8 la formula per la gloria, ma soprattutto la consacrazione internazionale. È infatti grazie a Drive se molti film precedenti sono stati distribuiti in diversi paesi del mondo (tra cui l’Italia).

Solo Dio perdona segna il ritorno a Cannes dopo due anni. A fine proiezione si scatena una guerra a colpi di fischi e urla contro il film. Non ci sono più i premi e le gioie a rendere positivamente memorabili le giornate del festival, stavolta c’è un’atmosfera pesante, conseguente a una cattiva digestione.

Solo Dio perdona
Ryan Gosling in Solo Dio perdona

Come accadrà anche per il gemello The Neon Demon, all’uscita dalla sala in parecchi sono certi che la carriera del danese sia già al capolinea. A confermarlo sono le molte recensioni negative.
La domanda che sorge spontanea è dunque la seguente: cosa ha spinto Refn a fare un tale passo verso l’ignoto, l’inferno, con il rischio di perdere tutta la fama e il successo accumulati con la pellicola precedente?

IO E JODO

Drive è un film che si capisce subito, ma lui [Refn, ndr] con Solo Dio perdona non è rimasto a quel livello, è voluto andare oltre e ha fatto un lungometraggio che va digerito, non immediatamente chiarissimo, va ricreato, ciascuno di noi deve ricrearlo. Se si guarda La Gioconda, ci si domanda per quale motivo sorrida: questo è il lavoro cui deve dare vita l’arte.”
(Alejandro Jodorowsky)

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“Mi ha salvato la vita cinematografica!”, ripete spesso l’artista franco-cileno quando i giornalisti gli chiedono del suo rapporto con Nicolas Winding Refn. La visione di Bronson è stata per lui un’illuminazione, la reale convinzione che esiste ancora oggi un regista capace di fare cinema badando solo alla propria arte, senza che il denaro ne influenzi le scelte. Dal canto suo, NWR ha trovato in La montagna sacra (visto per la prima volta da ragazzino) e nel modus operandi di Jodo – cui Solo Dio perdona è dedicato – un significativo esempio di approccio alla materia cinematografica, tanto da basarsi ancora oggi su di esso per i propri film.

Solo Dio perdona
NWR e Jodo insieme

Quale modus operandi? Quale approccio? Da sempre, Jodorowsky e Refn fanno dell’originalità il loro marchio di fabbrica. Non è un caso infatti che ogni loro film sia diverso dal precedente, in particolare nelle atmosfere. Naturalmente le connessioni con il precedente lavoro non mancano, ma Solo Dio perdona si estrania totalmente da ciò che contraddistingueva Drive e tutti gli altri. Stavolta ci si allontana dai comfort che un banale Drive 2 avrebbe di nuovo portato: il danese agisce esattamente come Nafas, la protagonista di Viaggio a Kandahar, che si dilegua dal Canada per fare tappa nel pericoloso Afghanistan e tentare di salvare la sorella dal suicidio. Da salvare, nel caso di Refn, non ci sono familiari, ma l’identità di autore che non ha intenzione di perdere, così come la fama e il successo; quest’ultimi tra l’altro non del tutto abbandonati.

Più ottieni risultati estremi, più riesci a lasciare un’impronta.
(Nicolas Winding Refn)

MOTHER
Mother, you had me but I never had you,
I wanted you but you didn’t want me,
So I got to tell you,
Goodbye, goodbye.
(John Lennon, Mother)

Solo Dio perdona
Kristin Scott Thomas in Solo Dio perdona

Solo Dio perdona è la storia di un uomo. Iconico quanto si vuole, ma che rimane profondamente essere umano. Julian (Ryan Gosling) è quest’uomo. Come in Drive, ha più di un lavoro: uno normale, come istruttore in una palestra di thai boxe a Bangkok, uno da criminale – gangster che gestisce lo spaccio di eroina e cocaina. Ma a differenza della precedente pellicola, l’occupazione illegale non viene mai mostrata, lasciando enorme spazio al triangolo Julian, Billy e la loro madre (Kristin Scott Thomas). Come accennato in precedenza, Billy muore dopo pochi minuti dall’inizio, ma è proprio la sua dipartita a scatenare gli altri protagonisti. Il poliziotto Chang, profondamente credente nell’efficacia della legge del taglione, e la già citata madre, tornata dall’America per prendere la salma e rivedere Julian.

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Il rapporto tra il protagonista e la genitrice risulta estremamente vicino a quello tra Tonny e Smeden in Pusher II. Entrambi i figli sono succubi dei loro genitori; Julian in particolare compirà ogni azione pur di farsi ben volere da chi lo ha creato. Ma non è il corretto sacrificio che compie Driver nei confronti dell’amata Irene, stavolta ogni passo verso l’approvazione è patologico, profondamente nervoso – quasi à la Fear X. Lei, del resto, una classica alpha female, ha sempre preferito il grosso membro di Billy a quello ridotto dell’altro figlio.

NWR crea un universo originale e pauroso, grazie soprattutto ai rumori della colonna sonora di Cliff Martinez. Ryan Gosling si muove lento tra i corridoi – ora rossi, ora blu – di un edificio, e il film prosegue altrettanto lentamente tra karaoke, lunghe notti e arti recisi.
Il primo (vero) fantasy western del danese, la cui grandezza sta manco a dirlo nel realismo, inesistente ai più, ma capace di far risaltare la storia di un uomo, piuttosto che di un personaggio da cinema.

 

Puoi leggere le parti precedenti della monografia:

Trilogia Pusher

Bleeder

Fear X

Bronson

Valhalla Rising

Drive